sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Claudio Cerasa

Il Foglio, 20 aprile 2024

La giustizia entra nella campagna per le europee. La premier chiede a Nordio di portare in Consiglio dei ministri martedì prossimo le due “riforme radicali”. È tempo di superare lo status quo? Certo che sì. La questione in fondo è sempre la stessa: sulla giustizia, il governo avrà o no il coraggio di passare finalmente dalla stagione delle chiacchiere a quella delle riforme? E sulla giustizia, Giorgia Meloni avrà il coraggio o no di sfidare il fronte unico della conservazione, che da mesi le suggerisce di non esagerare per non turbare lo status quo giudiziario? La giustizia, improvvisamente, lo avete visto, è diventata un elemento interessante della campagna elettorale per le europee. Ci sono liste, come quella di Bonelli e Fratoianni, che usano la giustizia ingiusta di altri paesi per fare campagna contro Meloni, candidando la nuova paladina degli anti Orbán: Ilaria Salis. Ci sono liste, come quella di Renzi e Bonino, che fanno leva sul giustizialismo degli altri partiti per raccogliere consenso sul garantismo, candidando come capolista Gian Domenico Caiazza, l’avvocato di Enzo Tortora. Ci sono altri partiti, come quelli di governo, che nelle prossime ore si troveranno di fronte a una scelta: usare o no il garantismo come un’arma per costruire consenso? La notizia è questa ed è sfiziosa.

Giorgia Meloni ha chiesto al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di prepararsi a portare al Consiglio dei ministri del 23 aprile un nuovo pacchetto sulla giustizia, contenente due riforme decisamente più esplosive rispetto al vecchio reato di abuso d’ufficio (norma approvata quasi un anno fa in Cdm, giugno 2023, e che si trova sospesa da mesi: alla Camera non è stata ancora calendarizzata). La prima riguarda il Csm, la seconda riguarda la separazione delle carriere. La norma sul Csm è pensata per rivoluzionare il sistema che regola il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura rendendo le correnti meno incisive rispetto a oggi. Soluzione principale, all’interno del pacchetto, individuata da Nordio: il così detto sorteggio temperato, che permetterebbe di sottrarre ai capi delle correnti la scelta dei togati del Csm (meccanismo descritto da Nordio già 27 anni fa, nel suo libro Giustizia). La seconda riforma, non meno dirompente, è la madre delle battaglie della destra garantista: la separazione delle carriere. Schema semplice: chi sceglie di iniziare una carriera (giudice o pubblico ministero) non può virare sull’altra carriera. Meloni e Nordio definiscono queste due riforme - per le quali occorrerà cambiare la Costituzione e per le quali l’iter dopo l’approvazione in Cdm sarà dunque lungo - semplicemente “radicali”.

Sia la premier sia il ministro della Giustizia, che hanno anticipato al Quirinale la volontà di accelerare sulle due riforme, sanno che le due svolte scateneranno reazioni robuste da parte dell’Associazione nazionale dei magistrati (Anm). Ma sanno anche che in un momento storico in cui la destra post sovranista fatica disperatamente a trovare solide ragioni per poter declinare il proprio vittimismo non c’è nulla di meglio di un duello rivitalizzante con il vecchio e solido partito dei pm. E dunque la domanda presto sarà questa: trasformare o no la battaglia per una giustizia giusta in un tratto identitario con cui costruire consenso, con cui sventolare la bandiera della coerenza e mostrare agli elettori il populismo dei propri avversari? I campioni dello status quo suggeriranno di non farlo. Nel nostro piccolo suggeriamo di non ascoltarli. Riforme radicali sulla giustizia? Sarebbe anche ora, no?