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di Nicoletta Cottone

Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2023

La crisi della sanità pubblica colpisce i “ristretti”. Anelli (presidente dell’Ordine nazionale dei medici): il grido d’allarme non può restare inascoltato, disponibili a sollecitare un tavolo. Tra le possibili soluzioni consentire i tirocini alle giovani leve, permettere di lavorare in pensione e di collaborare a chi opera nelle strutture pubbliche. Anastasia (Garante detenuti Lazio): senza scorte saltano quasi la metà delle visite esterne.

Sos per la salute dei detenuti. La redazione di “Non Tutti Sanno”, notiziario dei detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia diretto dal giornalista Roberto Monteforte, ha scritto un appello per ricordare che negli istituti penitenziari i medici che curano i detenuti “sono pochi. Sempre meno. Capita che il medico di base o lo specialista che va in pensione non venga sostituito e che i bandi indetti dalle Asl vadano deserti, oppure che si debba aspettare molto tempo prima che arrivi la nuova nomina e questo significa ulteriori forti disagi per noi “ristretti” che già subiamo gli effetti nefasti del sovraffollamento”. Solo due medici, invece dei quattro di “base”, per esempio, alla Casa di reclusione di Rebibbia con 300 detenuti.

Un appello per ricordare che sono cittadini che hanno sbagliato e che per questo stanno scontando la loro condanna in una casa di reclusione, “ma non per questo abbiamo perso il diritto alla salute e alla dignità di persona. Un diritto vero, non solo scritto sulla carta”. Un diritto costituzionale. “Senza di voi - si legge nell’appello - senza la vostra competenza, professionalità e generoso impegno nelle carceri, infatti, il nostro diritto costituzionale alla “cura” resta vuoto”. Chiedono ai medici di fare in modo che le giovani leve li affianchino on i tirocini, che sia consentito “al medico o specialista di prolungare la sua attività professionale nel carcere anche se in pensione e a chi opera nelle strutture pubbliche di poter dedicare del tempo ulteriore anche al servizio della popolazione reclusa”. Sono necessari “più ore e più specialisti per seguire chi ha patologie psichiatriche. Più risorse destinate alla sanità penitenziaria e alle attività di cura. Luoghi adeguati sul territorio per accogliere chi soffre di patologie psichiatriche o di dipendenza che non possono essere affrontate nei penitenziari”.

Monteforte: la crisi della sanità pubblica colpisce i “ristretti” - Nell’appello hanno ricordato che “di carcere ci si ammala. Uno studio recente attesta che una percentuale compresa tra il 60 e l’80% della popolazione detenuta è affetta da almeno una patologia”.

“In carcere ci si ammala tanto - spiega Roberto Monteforte, giornalista e coordinatore della Redazione di “Non tutti sanno”, nel carcere romano di Rebibbia - e curarsi è sempre più difficile, malgrado l’encomiabile impegno dei medici presenti nei penitenziari. Ma sono sempre meno. La crisi della sanità pubblica e la mancanza di risorse, infatti, colpiscono in modo diretto e pesante i livelli di assistenza sanitaria, le condizioni di vita e di lavoro dei medici, ma anche quelli della popolazione detenuta che già oggi sconta la carenza di assistenza sanitaria, la difficoltà a usufruire in tempi efficaci di esami clinici e prestazioni specialistiche”.

Sempre meno medici prestano attività in carcere - L’effetto, sottolinea Monteforte, “è che per la popolazione reclusa il diritto alla salute e alla cura è messo in discussione. Lo sarà ancora di più se, come abbiamo constatato, risultano sempre meno i medici che decidono di prestare la loro attività nelle carceri. Da qui un appello ai rappresentanti istituzionali e sindacali dei medici nella speranza che possa raggiungere ogni professionista della sanità, ne interpelli la coscienza, ne stimoli l’impegno, sostenga le giuste aspettative economiche e di carriera di chi affronta il disagio di curare la popolazione “ristretta”. La sanità pubblica, infatti, rappresenta l’unico strumento di tutela della loro salute, del loro diritto alla cura, della loro dignità di cittadini e di persone, di futuro possibile. Vorremmo che non fosse dimenticato”.

Dietro le sbarre serve più prevenzione - Dietro le sbarre, si legge nell’appello, “occorrerebbe allora una maggiore prevenzione laddove, purtroppo, le cure effettive arrivano - e non per responsabilità dei medici ma per come è organizzato il servizio sanitario nei luoghi di reclusione - quando il quadro clinico si aggrava o addirittura è ormai compromesso. Per poi non parlare delle due principali cause delle patologie nelle nostre carceri: la dipendenza dalle sostanze e il disagio psichico e psichiatrico che andrebbero curati fuori e non dietro le sbarre”.

L’appello è stato inviato, fra gli altri, al presidente dell’Ordine nazionale dei medici Filippo Anelli, al presidente dell’Ordine dei medici del Lazio Antonio Magi, al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, ai direttori generali della Asl romane, ai vertici sindacali, ai rettori de La Sapienza e di Tor Vergata, della Cattolica “Agostino Gemelli”, ai ministri della Salute Orazio Schillaci e della Giustizia Carlo Nordio, al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo, alla direttrice della carcere di Rebibbia Maria Donata Iannantuono, al Garante nazionale dei detenuti, al Garante dei detenuti della regione Lazio Stefano Anastasia, alla Garante comunale dei detenuti di Roma Valentina Calderone.

Anelli: (Fnomceo): l’appello non può restare inascoltato - Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), risponde a stretto giro all’appello: “Il grido di allarme sulla carenza di assistenza sanitaria in carcere dei detenuti di Rebibbia (ma che vale anche per gli altri istituti di pena) non può restare inascoltato. Attiveremo le istituzioni per quanto possiamo fare noi. E siamo disponibili a sollecitare un tavolo, a trovare soluzioni e per tutto quello che può servire a migliorare il livello di assistenza nelle carceri”.

Anastasia (Garante detenuti Lazio): senza scorte saltano quasi la metà delle visite esterne - “La scarsità di risorse finanziarie e di professionalità sanitarie - sottolinea il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasìa, dopo aver letto l’appello - sta facendo fuggire medici e infermieri dalle carceri, i posti in cui sono ricoverati gli ultimi degli ultimi con storie di salute spesso gravi, se non gravissime. É una situazione che denunciamo da tempo.

Le Asl stanno facendo il possibile con le risorse a disposizione, ma senza disponibilità di personale, neanche a essere assunto, non si può andar lontano. Nella mia ultima relazione ho chiesto alla Regione Lazio di riconoscere lo status di sede disagiata alle carceri in modo da incentivare i sanitari a sceglierle come luoghi di servizio. D’altro canto il ministero della Giustizia deve garantire il servizio dei Nuclei di traduzione e piantonamento della polizia penitenziaria senza il quale la diagnostica e le visite esterne continueranno a saltare nella misura del 30-50%, con gravi danni per la salute dei detenuti e per l’efficienza delle strutture sanitarie che ne sono impegnate inutilmente”.