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di Franco Insardà

Il Dubbio, 2 gennaio 2024

Nel 2023 si sono tolte la vita in cella 68 persone. Le presenze negli istituti sono oltre 60mila, e possono solo aumentare. Nel 2023 una persona ogni cinque giorni si è tolta la vita nelle carceri italiane. I 67 suicidi in carcere del 2023, 68 se la causa della morte dell’ultima vittima del 24 dicembre ad Avellino fosse da ascrivire a un suicidio, non sembrano però scuotere le coscienze, come successe l’anno scorso, quando i detenuti che si tolsero la vita furono 84. Un record assoluto che fece scattare l’allarme, con successivo effluvio di dichiarazioni di buoni propositi da parte del mondo politico di intervenire in modo rapido ed efficace.

Poi passata qualche settimana e archiviata la fredda statistica i detenuti, le carceri con le loro celle fatiscenti, gli agenti penitenziari costretti ad operare in condizioni di lavoro impossibili, sono stati drammaticamente dimenticati e lasciati a se stessi. E così il 2023 è trascorso senza che nessuno muovesse un dito, senza che nessuno ascoltasse i continui appelli dei garanti e delle associazioni che quotidianamente sono impegnati a cercare di rendere l’esistenza in carcere meno dura. E così a fine anno ci siamo ritrovati di nuovo a parlare le carceri fatiscenti, il sovraffollamento e le condizioni degradate di vita per detenuti e personale, così come le ha fotografate l’associazione Antigone nel suo report di fine anno. Una condizione anticipata qualche settimana fa dal Garante nazionale delle persone private della libertà che ha sottolineato come, oltre ai suicidi confermati, bisogna considerare anche i “morti per causa da accertare”, che spesso risultano essere casi di suicidio.

Dopo la fine di alcune misure deflattive adottate nel periodo della pandemia le carceri continuano a riempirsi e c’è il rischio che possa esplodere. E i numeri del sovraffollamento nelle carceri italiane si confermano drammatici: a fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili, al 30 novembre, i detenuti erano 60.116: 2.549 le donne, il 4,2% dei presenti 18.868 gli stranieri, il 31,4% dei presenti. Come fa notare Antigone nel suo report da settembre a novembre i detenuti sono aumentati di 1.688 unità. Nel trimestre precedente di 1.198. In quello ancora prima di 911. Nel corso del 2022 raramente si è registrata una crescita superiore alle 400 unità a trimestre. E secondo Antigone “se la popolazione detenuta dovesse continuare a crescere con il ritmo attuale tra un anno saranno oltre le 67.000 presenze”.

Ma nell’agenda politica del 2024 non sembra che vi sia traccia dei problemi del sistema penitenziario, anzi in questo clima preelettorale, con la spasmodica ricerca di consensi elettorali, il carcere è un vero e proprio tabù. Nonostante il presidente Mattarella, nel suo discorso di fine anno, abbia espresso riconoscenza a chi lavora in carcere e a chi fa volontariato.

I poveri detenuti hanno sperato per mesi nei 75 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi, previsti dalla proposta di legge del deputato Roberto Giachetti di Italia Viva, ma non ne hanno avuto più alcuna notizia. Anzi i provvedimenti del governo Meloni vanno in direzione decisamente opposta, dal dl Caivano, alle norme anti-rave, fino al recente pacchetto sicurezza, con misure peggiorative anche nei confronti delle detenute con figli piccoli, giungendo persino a proporre che le recluse incinte possano restare dietro le sbarre.

Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, commentando il report dell’associazione ha lanciato imperterrito l’ennesimo appello: “La politica ponga il tema del carcere al centro della propria agenda e accetti di discuterlo senza preconcetti ideologici o visioni di parte. Ci auguriamo quindi che il 2024 riapra una grande discussione nel Paese sul carcere e sulle finalità della pena. Che si capisca che abbiamo bisogno di più misure alternative, di prendere in carico le persone - soprattutto quelle con dipendenza o disagio psichico - all’esterno, evitando che il carcere diventi un luogo di raccolta di marginalità e emarginazione. Antigone è a disposizione insieme al suo bagaglio di conoscenze e competenze maturate in quasi 40 anni di attività, monitoraggio e studio dei sistemi penitenziari e penali”.

Addirittura il presidente dell’Unione Camere penali italiane, Francesco Petrelli, va oltre e in un recente intervento rilancia una proposta che in questo clima suona “blasfema”: amnistia e indulto. “Ringrazio gli amici e compagni di viaggio di Nessuno tocchi Caino - scrive Petrelli - , per essere stati i nostri giovani maestri della difesa degli ultimi; abbiamo marciato insieme per l’amnistia e per l’indulto, parole che oggi suonano come un’eresia e che dovrebbero invece, in questa situazione drammatica, tornare a circolare. È vero che in questo contesto, nel quale c’è nel Paese un evidente impoverimento della cultura dei diritti e delle garanzie, è difficile recuperare i valori dei nostri padri costituenti, quelle prospettive ideali”. Parole sante che rischiano, purtroppo, di cadere nel vuoto.