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di Aldo Torchiaro

Il Riformista, 12 gennaio 2024

L’occupazione media è del 127% per ciascun istituto. Tutto nell’illegalità e nel tradimento della Costituzione. “La situazione è gravissima, i diritti non possono rimanere fuori dal carcere”: il grido di Rita Bernardini, Nessuno Tocchi Caino, squarcia l’aria. La conferenza stampa che riunisce attivisti per i diritti e parlamentari riporta le lancette del problema alla mezzanotte. È una lunga nottata, il tunnel di chi sta in carcere. “Le regole del Consiglio d’Europa dicono che la vita all’interno delle carceri deve somigliare, pur in assenza della libertà, alla vita fuori”.

In Italia non ci si avvicina nemmeno. Ci sono carceri in cui le infermerie non hanno i medicinali di base. Altri in cui per regolamento interno non viene ammesso ai famigliari di consegnare alimenti ai propri cari. I 189 istituti penitenziari italiani hanno 3640 celle inagibili. La capienza regolamentare effettiva, al netto, è di 47540 posti. Peccato che i detenuti siano 60166. Il sovraffollamento medio è del 127% per ciascun istituto.

A spanne, Giorgia Meloni ha detto di conoscere che il sovraffollamento è del 120 per cento. Arrotondava per difetto. La media del pollo la conosciamo: se c’è qualche carcere al 100%, significa che altre hanno il 150% dei posti occupati. E tutto nell’illegalità, nel tradimento della Costituzione e di tutto l’ordinamento che norma la detenzione. Con il paradosso che per riparare ad un reato, i condannati - o anche i detenuti in attesa di giudizio - vengono sottoposti ad abusi e illeciti, in un regime illegale. Il governo cosa sta facendo? Poco e niente, assicurano Sergio D’Elia e Elisabetta Zamparutti, che insieme a Rita Bernardini portano avanti da molti anni le attività di Nessuno Tocchi Caino. “Basti guardare all’organico sottodimensionato nelle carceri. Se soffrono i detenuti, soffrono anche gli agenti della Polizia Penitenziaria. Unica forza di polizia costretta a fare gli straordinari obbligati”, viene illustrato da Nessuno Tocchi Caino.

“I concorsi vanno deserti, i dirigenti penitenziari rinunciano, perfino gli educatori faticano a stare dentro ai meccanismi di questa macchina infernale, inceppata. Tutto l’organico è sotto dotato. Anche i magistrati di sorveglianza (260 in tutta Italia) sono pochissimi. E hanno un carico di lavoro incredibile, devono occuparsi di mille adempimenti con obbligo di reperibilità 24 ore su 24, per turni su tutto l’anno. Non ce la fanno, non ce la possono fare”. Basti pensare ai centomila “liberi sospesi” che stanno fuori dal carcere per anni, prima di aspettare una decisione del magistrato di sorveglianza. Un quadro drammatico e strutturale.

È urgente correre ai ripari. Una prima proposta, a prima firma deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, prevede di portare da 45 a 75 i giorni di liberazione anticipata. Una misura piccola ma efficace per ridurre l’impatto degli oltre 14mila detenuti con due anni di pena da scontare. E poi una seconda iniziativa: affidare la facoltà di concedere pene alternative ad una parte della detenzione ai Direttori degli istituti di pena, che conoscono i detenuti e non solo gli incartamenti. Una misura che alleggerirebbe il carico di lavoro dei magistrati di sorveglianza.

“Abbiamo avuto il primo governo Conte dove il contributo di Bonafede e del capo del Gap, Basentini hanno contribuito ad aggravare la situazione nelle carceri, dove la situazione è diventata esplosiva”. Giachetti mette in luce il cuore del problema: “Il panpenalismo di questo governo, autentica fabbrica di nuovi reati, è insostenibile. Il 26% dei detenuti sono in attesa di giudizio, non è accettabile in uno Stato di diritto”.

Maria Elena Boschi, concludendo l’incontro, lancia un’idea ulteriore: “Bisognerebbe rendere obbligatoria per tutti i parlamentari una visita in carcere. Questo aiuterebbe i decisori a capire quanto sia grave la situazione umanitaria nelle case di pena. “Visto che il problema riguarda le competenze del Sottosegretario Delmastro, chiediamo che perlomeno le sue deleghe vengano distribuite ad altri, con una postura istituzionale meno scivolosa di quella che abbiamo visto finora da lui”, conclude Boschi. Proposte e appelli che non rimangono sulla sola carta ma saranno sulla pelle dei promotori, che tra pochi giorni inizieranno un Satyagraha, uno sciopero della fame a staffetta per chiedere alla premier Giorgia Meloni di ascoltarne le ragioni.