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di Mattia Feltri

La Stampa, 5 settembre 2023

La ferocia e la clemenza dell’uomo si fronteggiano in due notizie in cronaca: un marocchino di 43 anni ha confessato l’omicidio della tabaccaia uccisa a Foggia la settimana scorsa, bottino da settantacinque euro; l’Alabama potrebbe essere il primo Stato a sperimentare un’esecuzione con l’azoto. Una mi sembra la tragica eterna notizia della condizione umana, l’altra appartiene invece a una storia più recente, da quando l’uomo si pose il problema di infliggere la morte con umanità. Allorché il condannato respira azoto puro, dicono i sostenitori, nel giro di pochi secondi perde conoscenza e subito dopo la vita. L’azoto puro è un’evoluzione della ghigliottina, lo strumento inventato per ridurre il supplizio a un batter d’occhio. Da un paio di secoli o poco più, l’obiettivo è di ammazzare ma con contegno, senza esibizione di sangue e sofferenza.

Questo, mi pare, stabilirebbe la distanza fra un volgare assassino e l’assassino di Stato. Pure il comandante di Auschwitz, Rudolph Höss, racconta nelle sue memorie di quanto si batté nel trovare una soluzione più compassionevole, per far fuori gli ebrei, del gas scarico dei camion riversato nelle baracche, da cui uscivano urla raggelanti, e di come salutò con sollievo l’introduzione dello Zyklon B, così rapido e risoluto. Spero di non offendere l’uomo e i suoi sovrumani sforzi di umanità, ma ho sempre pensato che la sterilizzazione della morte non fosse studiata a beneficio della vittima, ma del carnefice, che rifiuta per sé la qualifica e la sente riecheggiare nello strazio del morente. Peggio di un assassino, c’è l’assassino che si arroga il diritto di non esserlo.