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di Salvo Palazzolo

La Repubblica, 11 marzo 2023

Intervista a Franco Puglisi. “L’ho incontrato dopo una lettera in cui chiedeva perdono. Ho subito capito che era un uomo cambiato”. “Quando mi sono trovato davanti a Gaspare Spatuzza, ho subito capito che era un uomo profondamente cambiato”. Franco Puglisi, il fratello di don Pino, il parroco di San Gaetano ucciso dalla mafia nel 1993, ricorda ancora con emozione quel giorno di qualche anno fa. Adesso, Spatuzza è tornato in libertà - anche se è una libertà condizionale - dopo 26 anni trascorsi fra carcere e domiciliari: così ha deciso il tribunale di sorveglianza di Roma.

Come nacque quell’incontro con il collaboratore di giustizia che ha confessato di aver partecipato alle stragi del 1992-1993 e poi anche al delitto di suo fratello?

“Spatuzza ci aveva scritto una lettera dai toni accorati. Raccontava la sua storia, ripercorreva i momenti dell’omicidio. E poi, soprattutto, rievocava cosa accadde in carcere. Dopo la condanna all’ergastolo per il delitto di mio fratello, chiese di andare in isolamento: “Una scelta che mi consentirà di intraprendere un cammino di ricerca dell’uomo”, scriveva. “Un cammino molto difficoltoso - proseguiva - l’ho sempre rappresentato come un esodo verso la terra promessa”“.

Come vi arrivò quella lettera?

“A consegnarla fu don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, a Firenze, venne lui a Palermo”.

Decise subito di incontrare Spatuzza?

“All’inizio, ero perplesso, titubante, ma ero curioso di conoscere questa persona che scriveva di aver fatto un percorso di pentimento rispetto al passato da mafioso. Accettai di vederlo dopo alcuni mesi di riflessione. Non era facile per me, conoscendo tutte le malefatte di cui era accusato”.

L’incontro si tenne in Toscana, al di fuori delle strutture penitenziarie. Cosa conserva di quei momenti?

“Restammo insieme un’intera giornata, insieme ad altre persone. Era diverso da come appariva nelle immagini delle televisioni e dei giornali. Era commosso, mi sembrava davvero addolorato per quello che aveva fatto. Capivo che le sue parole erano espressione di una macerazione interna aiutata dal cappello del carcere dov’era rinchiuso. Più volte richiamava i brani della Bibbia. Diceva che la lettura del Vangelo lo aveva trasformato. Non ho avuto l’impressione si trattasse di un’impostura”.

Cosa le disse?

“Ci sono parole di quel giorno che terrò solo per me. Posso però dire che erano le parole di un uomo che aveva fatto una profonda riflessione: per dieci anni era stato in isolamento, al carcere duro. Credo che solo lui sia davvero pentito dei crimini che ha commesso, perché la sua scelta non è avvenuta per convenienza, pochi istanti dopo l’arresto, come accaduto in tanti altri casi. È stata una scelta molto ponderata”.

Cosa le ha risposto quando le ha chiesto di essere perdonato?

“Gli ho detto: “Se sei veramente pentito il Signore ti ha perdonato, chi sono io per non fare altrettanto? Dopo mi sono sentito sollevato da un peso interiore e più sereno, in pace con me stesso”.

La storia di Spatuzza, che 11 anni dopo l’arresto ha svelato il grande depistaggio attorno alla strage di via D’Amelio, dice che anche nei mafiosi irriducibili può aprirsi una breccia...

“È così, anche se credo si debba avere una certa predisposizione dentro, alla riflessione, all’analisi interiore”.

Pensa che una breccia potrebbe aprirsi anche in Messina Denaro?

“Chissà, in linea teorica, è possibile che anche lui si penta. Ma ho più di un dubbio”.

Cos’è rimasta dell’eredità di don Pino Puglisi?

“La periferia di Brancaccio ha bisogno ancora di tante cose, come diceva mio fratello all’inizio degli anni Novanta, sollecitando a una presenza più attenta delle istituzioni. Di sicuro, un lavoro importante continuano a svolgerlo i volontari del Centro Padre nostro, che fanno fatti e non parole”.

Che effetto le fa sapere che oggi Spatuzza è libero?

“Nessuna emozione: né caldo, né freddo, sono indifferente a questa notizia. Se non avessi passato con lui una giornata intera forse non sarebbe stato lo stesso, e non so se lo incontrerei nuovamente. Ma gli auguro di rifarsi una vita, se ciò è possibile. Adesso nei suoi confronti non ho alcun rancore”.