sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Carlo Tecce

L’Espresso, 3 aprile 2022

Oggi i costi sono superiori rispetto ai dati di cui discutono partiti e programmi tv. Perché si ignorano gli investimenti e si generalizza (nel computo ci sono anche i Forestali). Milione per milione, quanto spende l’Italia e quanto denaro ha impegnato già nei prossimi anni.

“Non bastano 25 miliardi di euro in spese militari”. “Va raggiunto il 2 per cento del pil”. “Ce lo chiede l’alleanza atlantica Nato”. “Sorpresa: ci sono altri 60 miliardi per il futuro”. “Il nostro obiettivo sono 35 miliardi”. Al banco italiano delle armi c’è molta confusione. La guerra russa in Ucraina ha rinvigorito le baionette. I generali in divisa e in licenza sfogliano i cataloghi di vendita e quelli che generali non sono, né in divisa né in licenza, scrutano le cartine geografiche. Così la propaganda sui numeri degli uffici stampa non incontra resistenza. Per capire dove andare bisogna capire dove siamo.

La spesa militare autorizzata per il 2022, si legge nel documento di metà febbraio del centro studi della Camera, è di 30,421 miliardi di euro. Questo dato riassume il cosiddetto “bilancio integrato” che contempla i fondi in capo al ministero della Difesa (25,956 miliardi), al ministero dello Sviluppo economico (3,067) e al ministero del Tesoro (1,397). Già siamo ben oltre i 24 miliardi protagonisti innocenti del dibattito politico. I 30,421 miliardi di euro rappresentano l’1,7 per cento del prodotto interno lordo registrato nel 2021 e il 3,75 per cento del bilancio dello Stato. Su quest’ultimo parametro, alcuni confronti fra i ministeri: la giustizia impegna l’1,2 per cento, l’interno il 3,8; l’istruzione il 6,2. Allora perché ci si agita. L’Italia è una florida potenza da guerra. Falso. Mica ogni euro dei 30,421 miliardi finisce in cannoni, missili, blindati. I miliardi vanno scomposti. Il ministero della Difesa ne dispone 25,956 distribuiti su tre missioni: la principale è per la “sicurezza”, 24,201 miliardi; “tutela di ambiente e territorio” (Corpo forestale), 475,6 milioni; “servizi istituzionali delle amministrazioni pubbliche”, 1,279 miliardi. Un terzo circa dei 24,201 miliardi della missione “sicurezza”, cioè 6,8 miliardi, è destinato ai Carabinieri, 5,5 miliardi all’Esercito, 2,8 all’Aeronautica, 2,2 alla Marina. Il consistente “resto” viene utilizzato per pianificazioni e acquisti (5,95 miliardi) e per la gestione interforze (774 milioni).

Licenziata la parsimonia dopo la cura breve e dura dei tecnici di Mario Monti, il ministero della Difesa ha ricevuto maggiori risorse dai governi di centrosinistra di Matteo Renzi e di Paolo Gentiloni. Al dicastero c’era Roberta Pinotti. Nel 2016 le spese finali erano di 19,981 miliardi, quest’anno sfiorano i 26 miliardi nonostante gli effetti ancora tangibili della pandemia sulla società e sulle finanze pubbliche. La crescita non s’è mai fermata. Però con l’avvento di Lorenzo Guerini (Pd) al ministero nel settembre del 2019 al posto di Elisabetta Trenta (5S) è cambiato il modo di utilizzare il denaro.

Le spese del ministero della Difesa si dividono in “correnti”, che riguardano il personale (stipendi, esercitazioni, logistica), e in “conto capitale”, che assorbono gli investimenti nei programmi di armamento. La ministra Trenta (governo Conte I), anche in ossequio alle indicazioni di partito, ridusse a 2,030 miliardi le spese in conto capitale e sostenne con un miliardo in più il personale. Invece il ministro Guerini (governo Conte II) ha rovesciato gli equilibri della Difesa e si è concentrato sugli investimenti che quest’anno arrivano a 5,787 miliardi. Li ha quasi triplicati in un biennio. Gli amici americani e la loro industria bellica hanno apprezzato. Guerini ha sfruttato i quattro fondi per la tecnologia militare, avviati dal governo di Matteo Renzi e sempre irrorati di denaro, che garantiscono un sostegno complessivo di 31 miliardi di euro fino al 2033.

Il ministero dello Sviluppo partecipa con 3,067 miliardi, lo scorso anno erano 3,334, ai progetti a lungo termine della Difesa e al supporto delle imprese nazionali. I capitoli più rilevanti sono per il settore marittimo (656,6 milioni), le navi classe Fremm (522,6), l’aeronautica (1,162 miliardi). Altre decine di milioni di euro sono schierate per la sicurezza cibernetica. Il Tesoro ha un ruolo di semplice liquidatore delle missioni militari internazionali.

Con il 2022, secondo le analisi della Difesa, si sono toccati i picchi di spesa. Tra l’altro rimpinguata con altri 162,2 milioni di euro elargiti dal governo di Mario Draghi. Un tripudio di miliardi per irrobustire gli strumenti bellici e ammodernare navi e aerei e finanche il parco auto a disposizione mentre si è continuato a risparmiare sul capitale umano. Sui militari. I soldati si pagano mese per mese, le macchine si proiettano sui decenni. Per il programma Tempest, i caccia di sesta generazione in consegna nel 2035 da fabbricare con inglesi e svedesi, la Difesa ha stanziato 2 miliardi di euro per la ricerca, presto saranno 6 e poi decine. Questa strategia dà benefici immediati a chi governa e impone vincoli a chi verrà. Nessun governo potrà ritirarsi dal programma Tempest dopo 6 miliardi di euro versati. Ricorda vicende passate. Ricorda i caccia F35.

Il documento programmatico pluriennale, 258 pagine approvate in autunno in Parlamento che assorbono intenzioni e dissertazioni del ministero della Difesa e dei vertici delle forze armate, fissava al 2023 l’inizio di una nuova, ennesima stagione di austerità. La guerra in Ucraina ha smentito le previsioni. Anzi non erano proprio concepite nel testo della Difesa. La Russia di Vladimir Putin era descritta come assorta “nelle sue direttrici strategiche in Iran, Siria e golfo Persico, Libia, Egitto e Nord Africa, Turchia e Balcani” e nel capoverso dedicato all’arco orientale si citava “la recrudescenza della crisi ucraina”.

Non hanno torto i generali che lamentano una impreparazione dell’Italia agli “attuali scenari geopolitici” (formulazione perfetta e riempitiva per qualsiasi trasmissione televisiva). Oggi ci si sorprende che 6.000 militari (erano 7.050 lo scorso giugno) siano ancora davanti alle ambasciate e ai monumenti per l’operazione “strade sicure” per un costo di 160 milioni di euro annui per il ministero e incalcolabile per la loro evoluzione professionale. Per più di un decennio l’Italia ha trascurato i suoi militari, oggi definiti “pochi e non addestrati”, “non pronti al combattimento”. Ci si lamenta dell’esercito non pratico ai “teatri di guerra” dimenticandosi che la Costituzione la ripudia, la guerra e il teatro annesso. Comunque, è contrordine. Un doppio ordine. Più militari, più carri, navi, aerei, droni. È una buona notizia per le italiane Fincantieri e Leonardo, ma l’urgenza di ampliare e aggiornare subito le dotazioni è una buonissima notizia soprattutto per gli americani che hanno la migliore produzione. La feroce invasione di Mosca, le bombe su città dai tratti europei, l’indomabile dignità degli ucraini ha disarmato gran parte del pudore degli italiani: si accettano altri copiosi investimenti in materiale e personale bellico. Se ne avverte la necessità. Per cosa non è chiaro. I numeri sono distribuiti e ripetuti in pieno ozio intellettuale. Armati fino ai denti. Non importa se cariati.