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di Andrea Ruggieri

Il Riformista, 27 luglio 2023

60 anni, ha passato più di un terzo della sua vita in carcere, sempre professandosi innocente. Eppure un annuncio del Ministro Di Maio di tre anni fa scacciava via ogni pessimismo. “Ho una bellissima notizia da darvi: Chico Forti tornerà in Italia”. È il 23 dicembre 2020, e l’annuncio trionfale è di Luigi Di Maio, ai tempi Ministro degli Esteri italiano, che su Facebook sembra mettere la parola fine a un’odissea, quella di Chico Forti, velista e produttore televisivo italiano, che dura dal 1998, quando a Miami inizia il suo incubo che lo tiene in carcere da 23 anni. “L’ho appena comunicato alla famiglia e ho informato il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio - scrive Di Maio.

Il Governatore della Florida ha infatti accolto l’istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia. Si tratta di un risultato estremamente importante, che premia un lungo e paziente lavoro politico e diplomatico”, conclude Luigi Di Maio. Evviva. Perché il caso di Chico Forti è pieno di ombre, e sta a cuore di molti italiani. In più, se ne occupano trasmissioni assai popolari, e dunque riportarlo in Italia, sia pur a scontare il resto della pena, è occasione anche di popolarità e consenso.

La vicenda - Chico Forti era stato accusato tra mille ombre investigative prima, e processuali poi, nel 1998 per l’omicidio premeditato di Dale Pike, figlio di Antony Pike, dal quale Forti stava acquistando il Pikes Hotel a Ibiza: Dale viene assassinato e trovato cadavere su una spiaggia di Miami il 15 febbraio 1998. A giugno 2000 Chico incassa la condanna del Tribunale della Florida: ergastolo senza benefici, e dunque carcere. Sentenza, questa, che nel 2010, all’ennesimo ricorso respinto, diventa definitiva. Passano gli anni, lui è detenuto in un carcere di massima sicurezza in Florida, e l’Italia non riesce a ottenere la revisione del processo americano, anche se persino i familiari della vittima escono nel frattempo allo scoperto dichiarando apertamente le loro perplessità circa la colpevolezza di Forti (lo fa il padre, Tony Pike, ora deceduto, al Tg5, una decina di anni fa, e lo farà il fratello della vittima, alle Iene, un paio di anni fa).

Detenuto fantasma - Ma quando Chico ha ormai 60 anni, e ha passato più di un terzo della sua vita in carcere, sempre professandosi innocente, l’annuncio del Ministro Di Maio squarcia ogni pessimismo: l’incubo è finito, prepariamo le bandiere. Eppure, passano da allora due anni, e il 1° giugno 2022 io stesso interrogo in un Question Time Luigi Di Maio, al quale chiedo novità dopo l’annuncio trionfale cui non segue nulla; lui mi assicura che il Governo non avrebbe lasciato solo Chico Forti e avrebbe fatto di tutto per riavvicinarlo ai suoi cari. Però a oggi, dopo più di tre anni, di Chico Forti in Italia non si vede nemmeno l’ombra: da detenuto a fantasma.

E lo stesso Di Maio, dopo l’iniziale entusiasmo, è costretto a definire il suo rientro operazione complessa. Ma perché, se il governatore della Florida, Ron De Santis, aveva firmato l’atto di trasferimento in base alla convenzione di Strasburgo sul trasferimento da condannato? Il timore è che Chico Forti sconti sulla sua pelle l’imminente campagna elettorale per la Casa Bianca, che vede il Governatore De Santis impegnato in una difficile primaria contro Donald Trump, rianimato dall’aggressione giudiziaria di qualche procuratore democratico, e un precedente consumato nel 1999 dal Governo D’Alema, con Mauro Diliberto Ministro della Giustizia.

Il caso Baraldini - Allora, c’era da riportare in Italia Silvia Baraldini, membro delle Black Panters, organizzazione criminale che si batte per i detenuti afroamericani. Silvia è stata condannata a 22 anni di reclusione per associazione sovversiva, ed è detenuta da vent’anni negli Stati Uniti. Sono i mesi successivi alla strage del Cermis. Il Governo italiano chiude un accordo con quello americano: la Baraldini torna in Italia a scontare il residuo pena. Ma alla Baraldini è stato assicurato che lei torna in Italia e un secondo dopo liberata.

Tanto che lei stessa, letto il memorandum di trasferimento, non vuole apporre la sua firma sull’accordo, anche perché c’è nell’aria che possa rientrare nel giro di grazie di fine mandato di Bill Clinton, Presidente americano uscente di lì a pochi mesi. Silvia viene convinta a firmare dagli emissari del Ministero della Giustizia italiano (“una soluzione in Italia la troviamo, tranquilla”), appena atterrata in Italia viene esibita a Ciampino a mo’ di trofeo, tra bandiere rosse festanti (a proposito di rientri alla Patrick Zaki, quelli sì strumentalizzati, ma dalla sinistra), e reclusa a Rebibbia, poi comincia una detenzione domiciliare che fa storcere il naso agli americani perché non prevista dall’accordo di trasferimento, e alla fine esce grazie all’indulto e a una incompatibilità con la detenzione dovuta a una severa malattia che l’aveva colpita. Speriamo questo non ricada su Chico Forti, ma certo quando a sinistra si parla di ipotetiche strumentalizzazioni del rientro di Zaki, prima di aprire bocca penserei se non sia il caso di tacere.