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di Alberto Simoni

La Stampa, 2 novembre 2023

Dopo il 7 ottobre vertiginoso aumento delle denunce di discriminazioni da parte di musulmani. E a New York primo arresto per minacce di morte a studenti ebrei della Cornell University. Sono due facce distinte dell’odio razziale. Antisemitismo e islamofobia condividono un identico sentiero di minacce, soprusi, insulti e violenze fisiche nell’America che osserva da migliaia di miglia lo svilupparsi del conflitto in Medio Oriente ma che ne sente le schegge schizzare pericolosamente nella sua società già lacerata su tanti temi. Il Council on American-Islamic Relations (Cair) ha diffuso i dati delle richieste di aiuto e di denunce di discriminazioni che ha ricevuto fra il 7 e il 24 ottobre da parte di musulmani in tutti gli States: 774 episodi, in aumento del 182% rispetto a qualsiasi altro periodo di 16 giorni dello scorso anno. Per fare un esempio, la media delle denunce spalmate su circa due settimane nel 2022 è stata di 274.

Segnali preoccupanti che si uniscono alla crescita dell’antisemitismo, già in aumento da un decennio ma sino all’attacco di Hamas “confinato” negli ambienti della destra bianca suprematista e oggi invece allargatosi a macchia d’olio. Martedì sera uno studente 21enne della Cornell University è stato arrestato - e oggi è comparso davanti al giudice - dopo aver disseminato minacce di morte sul Web contro gli studenti ebrei della celebre università della Ivy League.

È un episodio tutt’altro che isolato, ma è la prima volta in queste settimane che scatta un arresto a testimoniare quanto il livello di allerta negli Stati Uniti è alto. I campus restano i luoghi da monitorare, quasi ovunque ci sono state prese di posizione che dal sostegno al popolo palestinese sono transitate poi dalla non-condanna di Hamas sino in alcuni casi, come quello di Cornell, alle minacce agli ebrei. Lo scontro è a 360 gradi e i Board di alcune università sono in difficoltà. Alla UPenn, ad esempio, la mancata presa di distanza dei dirigenti universitari da un documento pro-palestinesi firmato da centinaia di giovani, ha spinto alcuni donatori, fra cui Jon Huntsman, ex ambasciatore Usa a Pechino, a togliere i finanziamenti all’istituzione.

Le lacerazioni sono evidenti a ogni livello, alcuni musulmani stanno rivivendo il clima del post 11 settembre. Altri ricordano anche che, quando Trump minacciò di bandire i musulmani dall’entrare negli Usa, si scatenò un’onda d’odio nel Paese. Il 15 ottobre scorso in Illinois Wadea Al-Fayoume, di sei anni, è stato ucciso a coltellate dal padrone della casa dove viveva con la mamma, gravemente ferita. La polizia ha rubricato il delitto come un crimine d’odio, Joseph Czuba, il killer, si era scagliato sul bimbo urlando “musulmano, devi morire”. Il presidente Biden nel suo intervento dallo Studio Ovale in diretta Tv ha citato il caso.

Ma non sono solo i musulmani gli unici a rischio islamofobia. Chiunque venga percepito come musulmano, inclusi gli arabi di altre fedi religiose, e persino i Sikh, sono finiti nel tritacarne di minacce e insulti. A New York il 15 ottobre un 19enne è stato aggredito da una persona che volevano toglierli il turbante. La comunità islamica prova a difendersi. La lezione che la palestinese El Haddad che vive nell’area di Boston da oltre 25 anni, ha dato alla figlia di 15 anni che indossa l’hijab è quella di “non reagire e non rispondere”.

L’abbigliamento tradizionale è ovviamente elemento che rende particolarmente vulnerabili e identificabili i musulmani. A New York una studentessa è stata aggredita in metropolitana solo perché aveva il capo coperto e in Maryland una donna al volante della sua auto con il figlio a bordo è stata ricoperta di insulti e improperi a uno stop solo perché aveva l’hijab. Sono micro-episodi che riflettono un clima di paura e di intolleranza in un’America dove oggi schierarsi da una parte o dall’altra sembra un requisito necessario. Anche politico. Tanto che alcuni musulmani e donatori arabi americani hanno minacciato di bloccare le donazioni alla campagna del presidente Biden fin quando non si schiererà per il cessate il fuoco a Gaza. In un comunicato il National Muslim Democratic Council ha posto un ultimatum (le 23 italiane di oggi): chiunque aspiri alla Casa Bianca deve appoggiare lo stop alle armi. E’ un manifesto politico non una provocazione che trova sponde - limitate ma assai rumorose - anche al Congresso nell’ala progressista dei democratici. E che potrebbe avere un impatto sulla campagna elettorale. Emgage, un movimento di musulmani americani, ha diffuso un report dicendo che circa 1.1 milioni di islamici hanno votato alle elezioni del 2020. L’analisi dei flussi sulla base degli exit poll fatta allora dall’Associated Press ha evidenziato che il 64% votò per Biden, appena il 35% per Trump. L’Arab American Institute ha invece spiegato che ci sono 3,7 milioni di americani che affondano le loro radici in un Paese arabo. Ebbene secondo un sondaggio diffuso martedì il loro sostegno a Biden è crollato: nel 2020 era del 59%, ora è appena al 35%.