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di Massimo Basile

La Repubblica, 6 gennaio 2024

Il 25 gennaio Kenneth Smith, 58 anni, condannato per un omicidio commesso quando ne aveva ventitré, diventerà il primo uomo in America giustiziato con la “maschera della morte”: condotto nel braccio finale di un penitenziario dell’Alabama, legato a una sedia, gli verrà allacciata al volto una maschera infernale. A ogni respiro, Smith rilascerà ossigeno e riempirà polmoni e cervello di nitrogeno, un composto inodore, incolore, insapore, ma letale. Sarà un lento avvicinarsi al soffocamento. Chuck Palahniuk, autore di Soffocare, dovrà aggiornare le sue storie, ma già ora Smith sarebbe un personaggio da romanzo: è uno dei pochi essere umani al mondo in grado di raccontare cosa si prova a morire per iniezione letale in un penitenziario americano.

Il 17 novembre di due anni fa sarebbe dovuto morire tra dolori strazianti, invece il veleno che gli era stato iniettato in vena non fece fino in fondo il suo compito. Per un’ora e venti i “boia” del penitenziario di Atmore, Sud dell’Alabama, avevano cercato inutilmente di trovargli la vena giusta. Lui continuava a dire loro che stavano iniettando il veleno nel muscolo e non in vena, e quelli si erano innervositi.

Dopo averlo rivoltato sul lettino e messo in posizione di crocifisso, a faccia in giù, uno degli esecutori, in preda a una crisi di nervi, lo aveva colpito ripetutamente con la siringa nel collo, nel tentativo di mettere fine alla procedura. Scaduta l’ora e mezza prevista per l’esecuzione, la pena venne sospesa. Tredici mesi dopo, ci riprovano: Smith ha ottenuto dal giudice di risparmiargli l’iniezione letale, ma su di lui verrà adottato un sistema mai sperimentato prima, di cui nessuno conosce in realtà gli effetti.

Smith aspettava l’esecuzione da 36 anni, da quando era stato condannato nell’88 per la morte di Elizabeth Sennett, 45 anni. Era stato assoldato per mille dollari da un uomo, che aveva ricevuto l’incarico dal marito della vittima, un pastore della Chiesa di Cristo, che voleva intascare i soldi della polizza sulla vita di Elizabeth. Smith e un complice avevano accoltellato a morte la donna. Al processo la giuria popolare, con un quasi plebiscito, 11 sì e un no, votò per l’ergastolo, ma il giudice tramutò la condanna in pena di morte.

Ora siamo arrivati al secondo conto alla rovescia, ma lo strumento della maschera ha generato polemiche. Quattro esperti delle Nazioni Unite ne hanno contestato la legalità e chiesto la sospensione dell’esecuzione: non ci sono prove scientifiche, affermano, che questo sistema risparmi sofferenze che violino la legge internazionale. Il rischio è di tortura in barba a tutte le convenzioni riconosciute dai Paesi occidentali. E l’Alabama, nonostante l’idea di molti suoi abitanti, è considerata parte degli Stati Uniti.

I quattro esperti indipendenti si sono occupati del caso grazie all’iniziativa di due docenti, uno inglese e uno americano, che hanno sollevato dubbi sulla legittimità dell’uso della maschera al nitrogeno. “Se Smith verrà giustiziato dall’Alabama - ha dichiarato al Guardian il professor Jon Yorke, docente di diritti umani all’Università di Birmingham - ci sarà un aborto di giustizia e un atto barbaro di violenza di Stato”. Joel Zivot, esperto di iniezioni letali all’ospedale di Emory University, in Georgia, sottolinea come tutta la procedura fosse andata avanti in gran segreto. “E la segretezza - ha commentato - è nemica della giustizia”.