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di Massimo Basile

La Repubblica, 22 novembre 2022

La governatrice, dopo l’ennesimo intoppo, ha ordinato di rivedere le procedure. La sete di vendetta dell’Alabama si è fermata per la terza volta in cinque mesi sulla vena introvabile di un condannato a morte. Kenny Smith, 57 anni, è rimasto sdraiato per più di un’ora sulla barella, nel mezzo di una stanza bianca, illuminata dal neon, bloccato da cinque fasce nere, mentre gli addetti all’esecuzione nel carcere di Atmore si affannavano a cercare inutilmente sul suo braccio la vena giusta in cui affondare l’ago. Erano riusciti a iniettargli la prima dose di barbiturici, per stordirlo, poi toccava al pancuronio per paralizzare i muscoli e al cloruro di potassio per provocare l’arresto cardiaco. Ma lo staff aveva solo pochi minuti, prima che arrivasse la mezzanotte e scadesse la data dell’esecuzione, e non ce l’hanno fatta.

La governatrice dell’Alabama Kay Ivey ha sospeso tutte le esecuzioni capitali. La repubblicana ha annunciato lo stop e la revisione di tutte le procedure prima di ripartire. La pena capitale è diventata incertezza della pena, e l’iniezione letale un intralcio. Nella decisione il dolore inferto non c’entra niente, è solo questione di idraulica e di chimica, di veleni che non trovano la vena. A settembre era successo a un altro condannato a morte, Alan Miller. Due mesi prima a Joe Nathan James, sottoposto a ore di tortura con l’ago prima di riuscire a ucciderlo. E un’altra esecuzione era saltata per lo stesso motivo nel 2018. Sarebbero tutte violazioni all’Ottavo Emendamento, che vieta di infliggere punizioni crudeli, ma non è che in Alabama guardino il capello. Da anni i Repubblicani chiedono di tenere segrete le esecuzioni per evitare cattiva pubblicità, ma con le organizzazioni per i diritti civili di mezzo non è facile.

Smith era un caso ancora prima della fallita esecuzione, perché in realtà all’inizio non era stato nemmeno condannato a morte. Il suo caso risale al 1988, quando insieme a un altro balordo era stato assoldato da un reverendo per uccidere la moglie, a cui era intestata una polizza sulla vita. Smith aveva 22 anni. Intascò mille dollari. I due sicari uccisero Elizabeth Dorlene, il marito si tolse la vita una settimana dopo. Il complice è stato giustiziato, per Smith la corte, con un voto di 11-1, aveva chiesto l’ergastolo, considerando l’età, il passato difficile e il rimorso. Ma il giudice, ribaltando il verdetto, aveva deciso per la pena di morte. La data stabilita era il 17 novembre 2022, solo che l’esecuzione è cominciata alle 22.20, dopo l’ultimo via libera della Corte Suprema. E cento minuti non sono bastati.

Smith verrà probabilmente giustiziato, ma il suo caso rilancia il tema delle esecuzioni, che stanno vivendo tempi difficili. In Arizona hanno dovuto fare un’incisione all’inguine di un condannato per inserire l’ago. In Texas hanno violato il protocollo e fatto l’iniezione sul collo a un detenuto disabile perché non era in grado di stendere il braccio. Molti Stati hanno problemi a reperire i farmaci. Il South Carolina ha sospeso ad aprile sedia elettrica e fucilazione. Lo stesso, il Tennessee. La Virginia ha abolito la pena capitale. A ovest, la Corte Suprema dell’Oregon ha ordinato il trasferimento di tutti i condannati dal braccio della morte. Smith spera che la macchina si sia inceppata per sempre, ma in Alabama le speranze sono poche.