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di Valerio Fioravanti

L'Unità, 28 agosto 2023

I prigionieri che lo Stato considera importanti sono 14 ma i processi contro di loro sembrano destinati ad arenarsi. Il colonnello Acosta, giudice militare, stabilisce che le prolungate torture a cui sono stati sottoposti gli uomini di al Qaida rendono nulle tutte le loro confessioni, e senza quelle confessioni i pubblici ministeri militari avranno grosse difficoltà a ottenere quelle “condanne esemplari” (ossia condanne a morte) che la nazione avrebbe voluto.

Il tentativo degli statunitensi di processare i dirigenti “logistici” di al Qaida (gli “operativi” sono tutti morti negli attentati suicidi) è più interessante di quanto sembri. Il 90% degli uomini di Bin Laden sono stati uccisi, alcuni con operazioni delle squadre speciali, la maggior parte con i missili Hellfire (fuoco dell’inferno) lanciati dai droni. Per motivi, diciamo così, “teatrali”, una parte è stata catturata viva, ed era destinata a essere processata in diretta televisiva, e rapidamente giustiziata. Gli statunitensi credono fermamente che l’esecuzione di un assassino restituisca la pace alle vittime, e ai loro parenti.

Attualmente, dopo che nel corso di 20 anni oltre 780 prigionieri si sono alternati nelle celle di Guantanamo, i prigionieri che lo stato considera particolarmente importanti sono “solo” 14. Ma i processi “di alto profilo” contro di loro sembrano destinati ad arenarsi defnitivamente. Come Nessuno tocchi Caino aveva previsto, il giudice Lanny Acosta ha deciso che le confessioni ottenute sotto tortura non sono utilizzabili. E, per essere più precisi, non sono utilizzabili quelle ottenute direttamente dai torturatori, ma nemmeno quelle ottenute da altri agenti della Cia che avevano usato metodi meno drastici.

Acosta sostanzialmente ha deciso che lo schema “poliziotto buono-poliziotto cattivo” non può essere accettato se il “poliziotto cattivo” è stato troppo duro. Che ne sa l’uomo sotto interrogatorio che il poliziotto buono da un momento all’altro non esce dalla stanza e si ripresenta quello cattivo? Perché ci sono voluti 20 anni per arrivare a questa sentenza? Perché le confessioni erano l’unica carta che i pubblici ministeri potevano spendere in un processo, se non volevano rivelare come la Cia aveva ottenuto le informazioni sui sospettati, e se il governo non voleva che si parlasse in un processo pubblico di quanti servizi segreti di altri stati avevano passato informazioni alla Cia nella “guerra al terrorismo”.

Sostanzialmente contro gli imputati c’erano solo “informazioni riservate”. Però, se avevano confessato qualcosa (alcuni hanno ammesso di aver conosciuto Bin Laden o di aver fatto operazioni finanziare su sua indicazione), i processi si potevano fare. Ma qui Guantanamo si fa interessante perché pur di non riconoscere agli imputati lo status di “militari belligeranti” (che li avrebbe posti sotto l’ombrello protettivo della Croce Rossa e della Convenzione di Ginevra), è stato creato un ibrido: giudici e pubblici ministeri militari, ma avvocati difensori (tutti cio) “civili”. E gli avvocati civili sono stati bravissimi, e hanno messo seriamente in crisi lo strano tentativo congegnato dall’amministrazione Bush, e continuato dai suoi successori, di avviare una procedura dando all’inizio carta bianca ai servizi segreti, e poi, in corsa, rientrare nell’alveo dello stato di diritto.

Questa operazione spericolata, con la sentenza di Acosta del 18 agosto, ci fa tornare in mente una delle frasi tanto care a Pannella, una frase contro l’assunto di Machiavelli per cui il fine giustificherebbe i mezzi. Pannella amava dire invece che i mezzi prefigurano il fine. Ora cosa succederà? La Procura potrebbe fare ricorso, ma non è detto, perché il tema della tortura, ora che è stato così ben sviscerato, ha creato molto imbarazzo nell’Amministrazione. Da 18 mesi sono in corso trattative di cui, pochi giorni fa, sono stati avvertiti i parenti delle vittime perché forniscano “opinioni e commenti”: agli imputati verrebbe chiesto di dichiararsi colpevoli (in modo da aggirare il problema delle confessioni non utilizzabili) e in cambio non sarebbero condannati a morte, e in più sconterebbero l’ergastolo in un “normale” supercarcere federale, non in isolamento.

Se l’inutilizzabilità delle confessioni venisse confermata, i difensori, a questo punto, potrebbero riuscire a ottenere condizioni ancora migliori. Ma già la mancata condanna a morte per gli imputati del più grave attentato della storia degli Stati Uniti, con oltre 3.000 morti, creerebbe un precedente clamoroso, consentendo a tutti gli altri condannati a morte nel sistema federale di contestare la “sproporzione” delle proprie condanne. Ci vorrà ancora tempo, ma la sentenza contro la tortura cambierà molte cose.