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di Andrea Ossino

La Repubblica, 20 ottobre 2023

Il quarantaduenne romano è stato trovato impiccato nel penitenziario Massama di Oristano il 12 ottobre del 2022. La sorella: “Le nuove prove dicono che non fu suicidio. Ora subito l’autopsia”. “Sicuramente ha preso qualche pugno. Comunque alla fine è stato strangolato e hanno fatto come se si fosse suicidato”. Dopo un anno qualcuno ha parlato. E ha spiegato che dietro alle strane coincidenze che ruotano intorno alla morte di Stefano Dal Corso c’è un altro scenario. Una visione finora offuscata da indagini lacunose che non permettono di affermare con certezza cosa sia accaduto al detenuto romano trovato impiccato nella cella numero 8 del carcere Massama di Oristano, il 12 ottobre del 2022.

Una verità che la sorella del 42enne, Marisa Dal Corso, e l’avvocata Armida Decina hanno da sempre sospettato: Stefano Dal Corso non si è suicidato. Non lo dice l’inchiesta archiviata dai magistrati sardi senza neanche fare un’autopsia. E non ne parla il fascicolo appena aperto dagli stessi pm, ancora contro ignoti e senza ipotesi di reato. Che Stefano Dal Corso sia stato ucciso lo dicono nuove testimonianze e un audio. Prove che hanno permesso di riaprire l’indagine e che, se dovessero rivelarsi veritiere, racconterebbero la storia di un nuovo “caso Cucchi”.

Sulla morte di Stefano Dal Corso ora ci sono persone diverse che narrano la stessa vicenda e parlano di pestaggi, punti di sutura, lividi e strangolamenti. In particolare c’è la registrazione di una telefonata ricevuta da Marisa Dal Corso: “Tu devi andare avanti. Devi fargli fare l’autopsia, assolutamente. Gliela devi far fare!”. A parlare è una persona ben informata. Non è una chiamata anonima ma al testimone va garantito l’anonimato per proteggerlo. Perché tra le mura del penitenziario sardo, dove la vittima era appena stata trasferita per assistere a un’udienza, potrebbe essere accaduto qualcosa di grave. Qualcuno ha aggredito Stefano Dal Corso e poi l’ha strangolato “con un lenzuolo”, viene rivelato. Dopo “è stata inscenata l’impiccagione”, dice la persona che parla al telefono con Marisa Dal Corso.

Non è l’unica testimonianza. Lo scorso marzo due finti fattorini Amazon hanno bussato a casa della famiglia Dal Corso e hanno consegnato un libro con due capitoli evidenziati: La morte e La confessione. Per i magistrati si trattava di un “macabro scherzo”. Probabilmente non lo era. Come non erano suggestioni gli altri elementi evidenziati dall’avvocata Decina. Le testimonianze contrastanti, acquisite in ritardo o mai raccolte. Oppure i guasti alle telecamere di sicurezza del reparto di infermeria del penitenziario. O le mancate autopsie e le parole dei medici di fiducia che spiegano che i segni sul collo della vittima potrebbero essere compatibili con uno strangolamento.

Ma per la procura l’autopsia non s’ha da fare. Bastano le relazioni di servizio. Quelle emerse dopo mesi, quelle che dicono che Dal Corso si sarebbe impiccato quando mancavano poche settimane alla sua libertà, dopo aver detto alla figlia e alla compagna di voler ricominciare una vita insieme. Lo avrebbe fatto appendendo un pezzo di tela alla grata di una finestra piuttosto bassa. Un cappio ricavato dal lenzuolo di un letto che tuttavia era perfettamente rifatto, con un taglierino che l’avvocata Decina non ha mai potuto vedere. Sui tanti punti oscuri oggi è previsto un incontro a Montecitorio con il deputato di Iv Roberto Giachetti che ha presentato un’interrogazione a Nordio. “Siamo a una svolta - dice la penalista Armida Decina - Le testimonianze da sole però non bastano a dimostrare qualcosa. Chiediamo l’autopsia: un esame capace di appurare la verità per la stessa tutela dello Stato”.