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di Guido Camera

Il Sole 24 Ore, 5 febbraio 2024

Si rafforza la tutela della riservatezza delle comunicazioni tra l’avvocato e il suo assistito. È l’effetto di un emendamento al disegno di legge sulla giustizia penale (atto Senato 8o8), approvato dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama, che mira a evitare che gli inquirenti possano ascoltare le conversazioni o comunicazioni, telefoniche, ambientali e telematiche, che intercorrono tra l’avvocato e il proprio assistito.

L’intervento riguarda l’articolo 103 del Codice di procedura penale, che delinea le “garanzie di libertà del difensore”, già oggi precisando (al comma 5) che “non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori”. Ma la giurisprudenza nazionale ha interpretato le norme che vietano le intercettazioni tra avvocato e cliente escludendo l’esistenza di un divieto preventivo di ascolto.

È più garantista l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha spiegato come il divieto di ascoltare le conversazioni tra avvocato e cliente non sia un privilegio per il primo, ma una garanzia per la difesa del secondo, che deve poter parlare liberamente e in modo assolutamente riservato del suo problema giudiziario con chi lo difende, consigliandosi apertamente sulla strategia da adottare.

Per la Cassazione, invece, deve essere il giudice a decidere - dopo che le intercettazioni sono state eseguite - se effettivamente si tratta di conversazioni coperte dall’esercizio della funzione difensiva, anche se non formalizzata in un mandato, oppure alla stessa estranee e perciò utilizzabili come prova di un reato. Il controllo postumo dell’inutilizzabilità delle intercettazioni mina il principio della riservatezza dei colloqui con l’avvocato e la correlata funzione difensiva. Innanzitutto si traduce in una possibile conoscenza da parte degli inquirenti delle strategie legali prima che vengano esternate nel procedimento.

Di fatto, non garantisce la parità tra accusa e difesa, soprattutto nella fase delle indagini preliminari, dove spesso le intercettazioni telefoniche si collocano in un momento in cui parallelamente vengono svolti atti di ricerca della prova, come le perquisizioni, che comportano per l’indagato la necessità di serrato confronto con il difensore, anche in vista dei possibili rimedi processuali da esperire in tempi brevi, come il ricorso al Tribunale del Riesame.

Le intercettazioni, nella prassi, sono peraltro prodromiche a misure cautelari reali e personali, o interrogatori di garanzia, dove l’importanza di confrontarsi e prendere decisioni con riservatezza è essenziale per garantire effettivamente il diritto di difesa. L’attuale possibilità di ascolto di conversazioni vietate comporta anche un pericoloso effetto dissuasivo nei confronti dell’avvocato rispetto al dovere di svolgere il mandato senza paura di subire condizionamenti - quale a tutti gli effetti è la consapevolezza di poter essere intercettato mentre parla con il proprio cliente - da parte dell’accusa. La modifica inserisce nell’articolo 103 del Codice di rito i commi 6-bis e 6-ter.

Nel primo viene espressamente sancito che è vietata l’acquisizione di ogni forma di comunicazione, anche diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato e il suo difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo che si tratti del corpo del reato. Nel secondo viene introdotto uno specifico obbligo per l’autorità giudiziaria, e i suoi delegati alle operazioni di intercettazione, di interrompere “immediatamente” l’intercettazione quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientra tra quelle vietate.

La disposizione non introduce invece un’ipotesi di responsabilità disciplinare a carico di chi viola il nuovo divieto di ascolto. Tuttavia, è auspicabile che i vertici degli uffici giudiziari sorveglino in modo stringente sul rispetto della nuova regola, in quanto l’articolo 124 del Codice di procedura penale stabilisce che i dirigenti degli uffici devono vigilare sull’osservanza delle norme processuali “anche ai fini della responsabilità disciplinare”.