sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

a cura di Ornella Favero*

Il Riformista, 17 febbraio 2024

Giovanni, raccontato dalla sorella Giulia. Giovanni aveva 34 anni quando ha conosciuto una ragazza, con cui condivideva le stesse passioni. Ma lei aveva qualcosa di più, due bambini piccoli, e veniva da una situazione di maltrattamento in famiglia, per cui si era separata dal suo ex e Giovanni aveva visto in lei una persona con la quale costruire una famiglia. A quel punto hanno arredato la casa per iniziare una vita insieme. Anche perché lei non aveva un lavoro, non aveva nulla. Giovanni era tanto innamorato di lei, lui era famoso tra i suoi amici per essere un bonaccione, generoso e anche un po’ ingenuo. E tutte le sue amiche e anche le sue ex lo descrivono come un ragazzo dolce, premuroso e assolutamente non violento. Sono andati a vivere insieme, sommando le loro reciproche fragilità, perché entrambi avevano problemi di dipendenza da alcol e droga, e non sono riusciti a trovare un equilibrio, specialmente che andasse bene per i bambini.

Giovanni era sempre preoccupato dallo stile di vita della ragazza e temeva che trascurasse lui e soprattutto i bambini. E dopo una serie di litigi, le aveva chiesto di andare via perché non ce la faceva più a reggere certi comportamenti. Solo che dopo poco tempo si era ripresentata a casa sua e gli aveva chiesto di riprenderla con sé. E lui non aveva avuto il coraggio di mandarla via e si era ripreso lei e i bimbi. So che poi hanno avuto una discussione. Io non c’ero, il giudizio rimarrà per sempre “pendente”, sembra che lui l’abbia spinta e lei abbia sbattuto e si sia fatta male. Quindi lei ha chiamato i carabinieri, lui è stato arrestato, era in custodia cautelare in carcere da venti giorni con l’accusa di maltrattamenti, e probabilmente si è sentito crollare il mondo addosso perché l’ultima cosa che avrebbe voluto era maltrattarla e che finisse così il suo sogno di una famiglia. Io ho ricevuto solo una fredda telefonata nella quale mi si diceva “Ci dispiace comunicarle che suo fratello si è impiccato in cella”. Così, è entrato vivo, è uscito morto. E non capiamo cosa effettivamente sia avvenuto quel 19 novembre dentro a quella cella durante l’ora d’aria nel carcere di Montorio, una domenica di sole qualsiasi.

Giacomo, raccontato da sua madre Stefania. Quando Giacomo ha iniziato a manifestare difficoltà a livello comportamentale, è finito in comunità, è scappato e poi è stato rinchiuso nel carcere minorile, ed è stata la psicologa del Beccaria la prima a capire qual era il problema, con una relazione molto dettagliata in cui aveva rilevato in Giacomo un disturbo borderline della personalità.

Racconta Stefania, mamma di Giacomo: “Giacomo poi è entrato nella spirale delle sostanze, una sorta di automedicamento, e spesso il Ser.D. tratta i ragazzi che abusano di sostanze come tossicodipendenti puri, altra cosa che non porta a niente perché bisogna in parallelo trattare il problema di base. Poi mio figlio ha avuto un sacco di ricoveri per pesanti autolesionismi, perché magari si innamorava e veniva rifiutato quindi si tagliava pesantemente braccia e polsi. Poi ha cominciato a commettere reati e quindi è iniziata la spirale degli arresti e delle comunità che alla fine lo rifiutavano perché comunque era un ragazzo difficile da gestire, sia per l’alto rischio di autolesività sia perché cercava in tutti i modi le sostanze e quindi in questi meccanismi aveva anche delle reazioni aggressive. E poi è finito in carcere… lui aveva avuto una perizia psichiatrica in cui era scritto che era inidoneo al carcere, e doveva fare un percorso comunitario. Non sbloccandosi questa situazione, con l’avvocato abbiamo cercato la strada della REMS, perché abbiamo visto che rischiava di restare in carcere per tutto il periodo, e infatti è arrivata l’autorizzazione alla REMS e quindi Giacomo era in attesa di essere trasferito. Nel frattempo ha avuto dei ricoveri pesanti per autolesionismo, si è tagliato anche l’inguine ed era veramente in una situazione disastrosa, e tra l’altro gli somministravano pesanti dosi di benzodiazepine, che sono controindicate per il disturbo borderline. Poi quando commetteva questi atti lo mettevano nella cella “ad alto rischio” e la situazione è molto peggiorata, ci sono stati degli episodi disastrosi, si è tolta la vita un ragazzo di una cella accanto con cui Giacomo era diventato amico. Questo fatto ha innescato il grilletto, nel senso che lui cercava di lenire il suo dolore devastante in qualsiasi modo, però noi non pensiamo che sia stato un gesto volontario, ma le alte dosi di benzodiazepine, come è emerso dall’autopsia, ovviamente hanno amplificato l’effetto del gas che ha inalato. Quella notte della morte di Giacomo è stata avvisata l’avvocata, e poi lei ha avvisato noi. E anche questa la trovo veramente una cosa vergognosa. Io poi ho sentito a un evento pubblico il direttore del carcere che parlava di questo dramma in cui loro si trovano a dover gestire situazioni complicate, ma io dico: ci sono famiglie che possono essere una risorsa, invece sono completamente escluse, ignorate. Non solo non vengono informate, ma con tutti i tentativi che noi abbiamo fatto, siamo sempre stati scaricati e questo lo riteniamo gravissimo. In tutti gli enti pubblici le famiglie spesso sono sbattute fuori dalla porta”.

Marcos, raccontato dalla sua compagna Marianna. Marcos, il mio compagno, era in carcere a Velletri e aveva chiesto l’isolamento volontario, proprio per non avere problemi, perché gli mancavano solo tre mesi alla scarcerazione. Di punto in bianco decidono di mettergli in cella questo ragazzo, perché avevano paura che si sarebbe fatto del male da solo. Alla mattina durante la videochiamata lui mi ha raccontato che questo ragazzo era un tipo tranquillo e che glielo avevano messo in cella perché aveva solo cinque giorni da stare lì, poi lo dovevano trasferire in una REMS. Ecco quello che è successo, e poi questo ragazzo ha ucciso a calci e pugni Marcos. Praticamente in tutta la documentazione ho letto che si tratta di un ragazzo che non deve essere collocato in cella con nessuno e comunque deve essere guardato 24 su 24, anche perché si era reso protagonista pure nei giorni prima dell’omicidio di atti di violenza, aveva spaccato tre celle.

Loro poi dal carcere praticamente si sono appellati al fatto che Marcos aveva accettato di stare in cella con il ragazzo. Ma io credo che se a Marcos fossero stati detti i problemi che veramente aveva questo ragazzo, non avrebbe accettato mai di stare in cella insieme. Io poi ero tranquilla che Marcos stava lì dentro e non gli sarebbe successo niente, e invece proprio in carcere è successo qualcosa di terribile. Io e Marcos per anni non ci siamo mai separati, e poi così dall’oggi al domani lui non c’è più.

Ma un’altra cosa mi fa soffrire: sono passati otto mesi e a me ancora il carcere deve ridare tutti i suoi effetti personali, le foto che lui aveva attaccato in cella, perché poi io ho visto le foto della Procura che hanno fatto a lui e ho visto le foto mie e sue sul muro, tutte le lettere che aveva sul letto, la collanina, i vestiti, a me non hanno ridato niente.

Mi hanno avvisato verso le 11 di sera, io stavo a casa, praticamente mi arriva una telefonata dai carabinieri, io ero convinta che mi volessero dire che me lo dovevano portare a casa in detenzione domiciliare, e invece i carabinieri mi hanno detto “Suo marito è deceduto”, mi è crollato il mondo addosso.

*Direttrice di Ristretti Orizzonti