sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di don Carlo Cinciabella

diocesimazara.eu, 27 dicembre 2023

Parlare di giustizia da cappellano delle carceri è una questione di particolare delicatezza, a causa di quell’imbarazzante senso d’impotenza che tradisce la sua costitutiva incapacità di mediare il “grido” del carcerato. Il detenuto piuttosto ricerca la restituzione a sé stesso, la piena reintegrazione della dignità umana smarrita, nonostante gli errori che abbia commesso.

Nella Scrittura, il grido di Israele, ascoltato, invece, da Dio, è divenuto tradizione paradigmatica di possibilità di liberazione: esso, infatti, è la causa dell’azione liberatoria di Dio a favore dell’uomo da ogni sua forma di schiavitù. La ricezione della stessa legge data da Dio a Mosè, donata come espressione di quella paternità di Dio che vuole per i tutti i suoi figli una vita libera, secondo quella condizione umana di nudità prima della caduta, narrata nel libro della Genesi, invece, è stata recepita e vissuta dagli uomini come limite, regola e confine secondo l’egida sopprimente, dimensione etico-comportamentale, esiliando in questo modo la nostalgia di Dio. Aver smarrito il senso di Dio come ragione profonda del dono della legge, data perché questa educasse l’uomo nella possibilità di vivere a sua immagine, ha provocato in lui la scelta di averla intesa nella perversa costrizione etico-comportamentale senza alcuna curanza del suo sentire atteggiamento interiore.

Si evidenzia dunque un contrasto tra il fuori e il dentro del sentire dell’uomo le proprie azioni. Fra l’uomo e il sentire il giusto, o l’ingiusto delle proprie azioni, è posto quel confine, in cui situandosi le azioni commesse, si inserisce la legge giudicante. Non lontani dalla prospettiva biblica, la legge dello stato (democratico) assolve il compito di guardare all’azione commessa, più che alle ragioni di essa, ad esempio, la povertà o una possibile forma di schiavitù, che ne hanno provocato le scelte e i comportamenti di chi ora si trova in detenzione. Questa incapacità della legge di cogliere e di porsi nella differenza delle storie, dei volti, delle motivazioni di chi delinque, appare come costitutiva la sua azione giudicante e consegna drammaticamente il detenuto a ciò che sembra paradossalmente la giustizia della legge, “l’uguaglianza di giudizio”, e che invece è la sua contraddizione. L’espressione affissa nei tribunali, la legge è uguale per tutti, evidenzia questa incapacità costitutiva, che non le consente di fare una autentica azione di giustizia della separazione tra l’essere colpevole e vittima allo stesso tempo.

La legge cessa di essere criterio di giustizia quando riduce la persona al reato commesso. Il compito e la missione del cappellano, che entra e vive il suo ministero di salvezza dentro i luoghi di detenzione, che sono troppo spesso conniventi con esperienze disumanizzanti silenti e nascoste, è posto in una tensione tra la logica punitiva carceraria e la possibilità di riscatto evangelico della sua ulteriorità per la quale nessun uomo può essere ridotto al suo reato. Per un cappellano è disarmante riconoscere come il Vangelo lo costringa a ripensarsi dinanzi alla sacralità di ogni storia, aldilà delle colpe commesse, spinto a guardare, con uno sguardo non secondo la logica di questo mondo, a quell’uomo-carcerato nascosto e catturato nella solitudine delle sue ferite, riconosciute come segno e memoria delle stesse piaghe del Risorto, dove è rivelata un’altra logica, scandalo per i giudei stoltezza per i greci (1 Cor 1,22-23), riflesso della nudità genesiaca di chi non ha smesso di gridare quel desiderio di essere ri scattato da una legge, capace di restituirgli la libertà nell’unica appartenenza all’umanità. In una società orientata a pensarsi in una frammentata pluralità di appartenenze, che scadono in pregiudizievoli giudizi della banale differenza tra buoni e cattivi, viene meno il giudizio che sa guardare all’unicità di ogni singolarità. Da ciò ne consegue la vincolante scelta di una appartenenza forzata che spesso, per ragione di difesa, mette a tacere il desiderio di chi delinque in un possibile esodo di liberazione.

*Cappellano del carcere minorile Malaspina di Palermo