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di Giuseppe Legato

La Stampa, 27 maggio 2023

Il 27 maggio 1993 l’esplosione. A Firenze c’è un’inchiesta ancora aperta: caccia ai mandanti occulti esterni alla mafia. All’inizio, poco dopo l’1,04 del 27 maggio 1993, quasi d’istinto, si pensò: “È una fuga di gas”. Troppo forte il botto, troppi danni, troppe vittime. E perché mai a Firenze, a due passi dagli Uffizi, sarebbe dovuto accadere qualcosa di diverso da questo? Da una sciagura? Da una tragica fatalità? Ma già all’alba, quando il sole cominciava a sorgere e le luci delle autobotti dei pompieri diventavano inutili, saltò fuori un cratere di un metro e mezzo che aprì la mente degli investigatori a un’altra drammatica pista: quella dell’attentato.

Lo raccontava la voragine nella strada, un buco nella storia “nera” del nostro Paese causata da un carico di tritolo di 277 kg stipato - si scoprirà solo dopo - da Cosa Nostra dentro un Fiat Fiorino parcheggiato in zona. Qualcuno “di estrazione non mafiosa” ci aggiungerà il T4, esplosivo plastico militare.

La Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, fu risparmiata dal fuoco ma si accartoccerà, frammenti dai vetri della Galleria degli Uffizi schizzarono via. Morirono Angela Fiume, 36 anni, la custode dell’Accademia dei Georgofili. Con lei il marito Fabrizio Nencioni, 39, ispettore dei vigili urbani e le figlie Nadia, 9 anni, e Caterina, 50 giorni appena. Perse la vita anche Dario Capolicchio, 22 anni, di Sarzana (La Spezia): studiava architettura a Firenze. Altre 48 persone restarono ferite. Gravissimi i danni al patrimonio artistico: colpiti anche alcuni ambienti della Galleria degli Uffizi e del Corridoio vasariano, il 25% delle opere d’arte presenti fu danneggiato.

Saranno poi le indagini, coordinate dal procuratore capo Piero Luigi Vigna a cui seguiranno altri magistrati, ad accertare che la strage fu progettata e organizzata da Cosa Nostra per costringere lo Stato a scendere a patti sul carcere duro e sulla legge sui pentiti, nell’ambito di una campagna terroristica in continente che comprendeva anche l’attentato fallito a Maurizio Costanzo, le autobombe in via Palestro a Milano e alla basilica di San Giorgio al Velabro a Roma, fatti avvenuti sempre nel 1993. Senza dimenticare la tentata strage dei carabinieri allo stadio Olimpico.

A Firenze, in procura (competente per territorio), c’è un’inchiesta ancora aperta a 30 anni dai fatti. Ed è caccia ai possibili mandanti cosiddetti esterni o occulti. La storia giudiziaria ha già detto che tra esecutori e mandanti di Cosa nostra sono stati condannati Totò Riina, Leoluca Bagarella, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. E l’arresto di quest’ultimo, avvenuto a Palermo lo scorso 16 gennaio per capirci, ha chiuso la stagione degli stragisti, ma non il mistero su quel tritolo che ha squarciato la notte di Firenze.

L’hanno ribattezzata “Operazione Tramonto”: un tributo alla poesia di una delle vittime di quell’attentato. L’aveva scritta Nadia pochi giorni prima di morire: “Il pomeriggio se ne va / il tramonto si avvicina, un momento stupendo / il sole sta andando via (a letto) / è già sera tutto è finito”. È ancora appesa nella sede del gruppo speciale dei carabinieri in un hangar nell’aeroporto militare di Boccadifalco. Luigi Dainelli, zio della bimba, da tempo chiede verità: “Il boss parli - disse a La Stampa quattro mesi fa -, vogliamo conoscere i nomi delle menti raffinatissime”.

Ma in realtà già a partire dalla metà degli anni 90, su questo fronte, erano iniziate le indagini, accertamenti tuttora in corso e che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati, tra gli altri, di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. I pm voglio indagare ancora “per capire se sia processualmente provabile una convergenza di interessi di ulteriori soggetti estranei al sodalizio mafioso nell’ideazione nell’esecuzione delle stragi. Una cosa è certa. Dopo l’ultima, tentata strage, allo stadio Olimpico, Berlusconi, a marzo del 1994, fu eletto presidente del Consiglio e la stagione delle bombe finì. È storia”.

Nei giorni scorsi, il pm titolare delle indagini, Luca Tescaroli, ha spiegato come “sia un obbligo giuridico continuare a indagare”. Per la memoria innanzitutto “delle vittime innocenti” ma anche “per via del pericolo generato per la nostra democrazia” da quei fatti. Le inchieste sui mandanti occulti delle “stragi continentali”, tra cui quella di via dei Georgofili, in questo lungo arco di tempo, sono state archiviate per quattro volte. Ma recentemente ne è stata aperta una quinta.

Misteri su misteri. Come le dichiarazioni nel processo “‘Ndrangheta stragista” di Giuseppe Graviano, uno dei condannati definitivi, seguite, negli ultimi tempi, dal suo ex fedelissimo, nonché favoreggiatore, Salvatore Baiardo, personaggio controverso che ben si adatta al torbido scenario di quegli anni. O come quegli strani contatti tra soggetti della destra estrema e i Corleonesi proprio nel frame temporale in cui in Sicilia si pensava di spostare l’attacco frontale allo Stato sui beni culturali: il punto più alto del pericolo per la nostra democrazia.