di Riccardo Arena
La Stampa, 16 novembre 2019
Caltanissetta, l'Appello conferma: ergastolo ai boss. Nell'attentato morì il giudice Borsellino. Il paradosso è che il falso pentito se la cava con la prescrizione. Vincenzo Scarantino esce indenne dalla vicenda di via D'Amelio, in cui ha giocato in passato il ruolo di collaboratore determinante per incastrare mandanti ed esecutori dell'eccidio del 19 luglio 1992 - ruolo positivo, riconosciuto fino in Cassazione - mentre oggi è considerato al centro del quanto mai negativo e colossale depistaggio di cui si parla adesso.
Nella sentenza di appello di ieri pomeriggio del "Borsellino quater", i condannati sono due boss, Salvino Madonia - killer fra gli altri dell'imprenditore Libero Grassi - e Vittorio Tutino: hanno avuto l'ergastolo per il loro ruolo nell'attentato in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Colpevoli di calunnia aggravata anche due dei falsi collaboratori di giustizia di questa vicenda: hanno avuto 10 anni ciascuno Calogero Pulci e Francesco Andriotta. Mentre il lungo tempo trascorso dall'epoca dei fatti e le attenuanti salvano Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna, ritenuto manipolato e indotto a mentire, anche a suon di pestaggi, da soggetti inseriti negli apparati dello Stato.
La decisione ribadisce i contenuti della sentenza di primo grado che due anni fa aveva certificato l'esistenza del depistaggio, su cui è in corso un altro processo, a carico di tre poliziotti ex del gruppo Falcone-Borsellino, coordinato dal questore Arnaldo La Barbera. Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Rib audo, un dirigente e due sovrintendenti in pensione, sarebbero coloro che avrebbero orientato la falsa collaborazione di Scarantino.
L'ispiratore La Barbera, ritenuto l'ispiratore, è morto nell'ormai lontano 2002. Scarantino se la cava dunque con un nulla di fatto, mentre Pulci e Andriotta rispondono di aver provocato le condanne subite da sette ergastolani, assolti in un processo di revisione dopo quindici anni di carcere a testa. Madonia, capomafia palermitano di Resuttana, sarebbe stato tra i mandanti della strage che aveva di mira il giudice Borsellino.
Tutino, che è di Brancaccio, fra gli esecutori. Il depistaggio sarebbe servito a coprire le responsabilità del gruppo proprio di Tutino, quello capitanato dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, irriducibili e stragisti anche del 1993. I loro agganci milanesi, le loro presunte collusioni - che sono ancora oggi al centro di indagini nel processo palermitano sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia" - avrebbero indotto gli apparati deviati dello Stato a cercare di attribuire tutte le responsabilità al gruppo di mafiosi della Guadagna indicato da Scarantino.
A suon di botte e di torture fisiche e psicologiche, sostiene oggi la Procura nissena nel dibattimento contro i tre poliziotti. Mentre a Messina sono sotto inchiesta due magistrati del pool che indagò a suo tempo e che a Scarantino diede credito, gli ex pm Carmelo Petralia e Anna Palma, ignorando le sue ritrattazioni. Come del resto i giudici. Fino in Cassazione.