sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Raffaele Minieri

Il Riformista, 26 agosto 2022

In questo mese di agosto i media hanno dedicato un po’ di spazio alle condizioni carcerarie, quasi sorpresi dai numerosi suicidi di detenuti. Tuttavia le necessità partitocratiche derivanti da una campagna elettorale balneare hanno impedito un reale dibattito su un tema così complesso come il carcere. D’altra parte le posizioni giustizialiste, comuni a tutti i partiti, riescono a garantire facile consenso. Pertanto, sebbene ispirati da ottime intenzioni, gli appelli ai candidati, una costante di ogni campagna elettorale, sono destinati all’insuccesso.

Infatti è velleitario pensare che qualche candidato possa essere folgorato dal pathos di chi scrive e, una volta eletto, riesca ad ottenere risultati determinanti. Basta andare al 2018 per ricordare che proprio il momento elettorale è stato il nemico giurato della riforma dell’ordinamento penitenziario su cui avevano lavorato gli Stati Generali dell’esecuzione penale. Il Partito Democratico decise di vanificare quell’impegno proprio per la paura di perdere consensi e a nulla valse il lungo sciopero della fame di Rita Bernardini.

Le elezioni al più possono essere uno strumento di visibilità, come, per esempio, avvenne quando Marco Pannella decise di presentare la lista “Amnistia, Giustizia e Libertà”. In quell’occasione, però, il nome della lista utilizzava le elezioni per riportare al centro del dibattito l’amnistia quale prima e necessaria tappa della riforma dell’intero sistema giustizia. Per questo sono convinto che il carcere non abbia bisogno di appelli, ma di iniziative politiche concrete e capaci di creare le condizioni per osare il possibile contro il probabile. In concreto, quindi, che bisogna fare? Prima di tutto dare futuro alla memoria e (continuare a) conoscere. In tal senso le visite ispettive delle carceri sono uno strumento fondamentale, come ha ben dimostrato con il suo operato e le sue denunce il consigliere regionale del Lazio il radicale Alessandro Capriccioli, che la Camera Penale di Napoli ha ospitato in un convegno ricco di spunti.

Bisogna vigilare sulle condizioni detentive e bisogna farlo costantemente, perché è proprio grazie alle denunce conseguenti a queste attività che possiamo dire “che tutti sanno” quali sono le condizioni in cui vivono migliaia di esseri umani. Peraltro personalmente ho molti dubbi che tutti sappiano quale sia la vera condizione in cui vivono i detenuti. Anche per questo tutta la Giunta della Camera Penale di Napoli ha ritenuto fondamentale visitare le strutture detentive della città. Conoscere e denunciare le condizioni carcerarie è un compito che, in assenza degli eletti (dapprima candidati destinatari di appelli), deve essere svolto dai corpi intermedi, i quali devono tornare ad essere luogo di iniziativa e cultura politica.

Per esempio, durante i miei anni da dirigente di Radicali Italiani, ricordo le innumerevoli visite, denunce e campagne che furono l’antecedente logico e necessario alla lunga e difficile mobilitazione per chiedere l’istituzione del Garante cittadino dei detenuti per la città di Napoli. Pur senza essere candidati ed eletti, riuscimmo ad aprire un dibattito e a creare le condizioni politiche che portarono il sindaco de Magistris ad istituire tale figura. Ad oggi credo che tale risultato, anche per la lungimirante nomina di Pietro Ioia, abbia concretamente migliorato la vita dei detenuti napoletani. Così come credo che l’impegno dei Garanti, delle associazioni di volontariato e di quelle caritatevoli abbia un impatto fondamentale nella vita di ogni singolo detenuto.

Infatti il carcere non solo è privazione della libertà, ma è privazione della dignità. Tutti i bisogni primari vengono compressi e annullati nelle celle senza aria, senza pulizia, senza riscaldamento. Di conseguenza, mentre cerchiamo di perseguire imponenti progetti di riforma, abbiamo l’obbligo di contribuire al miglioramento delle condizioni che quotidianamente ogni detenuto vive. I ventilatori, i frigoriferi, i beni di prima necessità per i meno abbienti sono urgenze forse non strettamente politiche ma sicuramente umane, a cui non possiamo sottrarci e che non possono essere relativizzate. Il carcere è un luogo concreto, un posto della realtà, il luogo dove il dolore e la sofferenza possono essere toccati con mano. Chiunque faccia colloqui con i propri assistiti in carcere sa che ogni millimetro di normalità conquistato ha un valore immenso.

Infine una nota terminologica. Se la pena è illegale, i destinatari degli appelli non possono essere i candidati. Chiunque voglia denunciare “la flagranza di reato in cui vive lo Stato” ha due possibilità: ricordare alla magistratura i suoi doveri e investire la politica dei suoi compiti.

In quest’ottica la richiesta di dimissione dei magistrati di sorveglianza, le interrogazioni parlamentari, le visite in carcere, la denuncia al Ministro della Giustizia delle condizioni del carcere di Poggioreale, la collaborazione con i Garanti mi sembrano parte del percorso che può creare iniziative politiche capaci, ben più dei tavoli di consultazione e degli appelli ai candidati, di porre al centro del dibattito l’importanza della riforma dell’ordinamento penitenziario e l’urgenza di un provvedimento di amnistia, che gioverebbe a tutta l’amministrazione della giustizia, riuscendo a favorire quella vera riforma di sistema che non si è ottenuta né per via legislativa né per via referendaria.