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di Giordano Stabile

La Stampa, 2 maggio 2023

Quarantamila dollari è la cifra che chiedono i passeur al confine per arrivare in Egitto: una cifra enorme in un Paese che ha un reddito medio annuo di mille dollari. Quarantamila dollari per uscire dall’inferno. È la cifra che chiedono i passeur al confine fra il Sudan e l’Egitto. Promettono permessi speciali per tutta una famiglia, e un pullmino a disposizione per attraversare i posti di controllo alla frontiera. Una cifra enorme in un Paese che ha un reddito medio annuo di mille dollari. Ma di fronte alla prospettiva di ritrovarsi inghiottiti in una guerra civile tipo quella siriana, come ha avvertito l’ex premier democratico Abdallah Hamdok, molti sono disposti a bruciare tutti i risparmi o vendersi la casa pur di scappare. La tregua è stata prolungata di 72 ore, ma è una farsa, i combattimenti a Khartoum continuano. L’iniziativa è tornata nelle mani dei miliziani della Rapid support force del generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuti anche come Beretti rossi o “janjaweed, “diavoli a cavallo”. A differenza che nel Darfur, quando terrorizzavano i villaggi davvero con cariche a cavallo, hanno a disposizione mezzi blindati e tank di fabbricazione sovietica e hanno ricominciato ad avanzare nella parte orientale della capitale, a Est del Nilo Bianco, con l’obiettivo di conquistare l’aeroporto.

Lo scalo di Khartoum, concepito quando la metropoli era una cittadina, ha la peculiarità di trovarsi in mezzo ai palazzi, e lungo la grande avenue che corre da Nord a Sud si vedono i jet in fase di atterraggio bassa quota, quasi a sfiorare la strada. Una posizione problematica in tempo di pace, figuriamoci adesso. Gli uomini di Dagalo sono arrivati a pochi isolati, con l’obiettivo di privare il rivale Abdel Fattah al-Burhan di una possibile via di rifornimenti. Il secondo obiettivo è avere una base per cominciare a utilizzare i propri elicotteri. Le evacuazioni degli occidentali, ormai nella fase finale, devono trovare altre vie, più complicate. Ieri un convoglio con 500 cittadini americani è arrivato dalla capitale fino a Port Sudan, sul Mar Rosso, dopo un viaggio di 800 chilometri attraverso il deserto. Lungo il percorso è stato scortato dall’alto da droni, pronti a intervenire in caso di assalto da parte di predoni o miliziani.

Tutto è possibile in uno Stato in disfacimento. Le Forze di supporto rapido di Dagalo contano 100 mila uomini, più o meno quelli a disposizione di Al-Burhan all’interno dell’esercito regolare. Il suo vantaggio finora era stato garantito dall’aviazione, ma i vecchi Mig e Sukhoi hanno bisogno di continua manutenzione, i pezzi di ricambio scarseggiano e i raid sono più sporadici. Significa una situazione di stallo prolungato e quindi la prospettiva è una lunga guerra civile, “come in Siria”, ha paventato l’ex primo ministro Hamdok alla Bbc. I morti accertati sono oltre 500, migliaia i feriti. Mancano cibo e medicine, dilaga la malnutrizione fra i minori, come ha denunciato Save the Children. I profughi verso i Paesi confinanti sono 50 mila. Migliaia di persone sono bloccate, altro paradosso, perché hanno lasciato i loro passaporti nelle ambasciate, chiuse in tutta fretta, e adesso non possono recuperarli.

Hamdok è stato messo da parte nel gennaio del 2022, quando i generali, vale a dire gli stessi Dagalo e Al-Burhan si sono ripresi tutto il potere nel Consiglio esecutivo, in teoria un governo misto civile-militare. Era la fine di fatto della transizione cominciata nell’aprile del 2019, con la deposizione del dittatore, ricercato dall’Aja, Omar al-Bashir. Gli Stati Uniti hanno cercato di rimettere sui binari il processo democratico, con la nomina di un ambasciatore, John Godfrey, dopo un’assenza di 25 anni, e le pressioni del segretario di Stato Antony Blinken e della sua vice Victoria Nuland, che ha visitato Khartoum ancora il 9 marzo. Troppo tardi. Dagalo e Al-Burhan erano già ai ferri corti, affilavano le armi e cercavano di accreditarsi presso i loro protettori, la Russia, gli Emirati, l’Egitto e l’Arabia Saudita. Il tutto mantenendo buoni rapporti di facciata con le potenze occidentali. I due, entrambi stretti collaboratori e complici di Al-Bashir, provano a giocare la parte del “buono” e del “cattivo”. Nessuno ci crede più. È una lotta di potere a oltranza, senza alcun obiettivo ideale, se non il potere e l’arricchimento personale.