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di Franco Corleone

L’Espresso, 29 dicembre 2023

L’uccisione di Giulia Cecchettin da parte dell’ex danzato ha provocato una emozione assai forte e ha spinto tante donne a scendere in piazza con una determinazione e una durezza inconsuete. Soggetti senza paura che gridano di voler bruciare tutto. Bene ha fatto Emma Bonino a coinvolgere nella iniziativa “Ora tocca a noi” i sindaci, perché la città può essere luogo di sviluppo di libertà nella coesione o di disgregazione del legame sociale.

Il monito di De André, “siamo tutti coinvolti”, ovviamente riguarda per primi i maschi e la discussione sul patriarcato aiuta ad approfondire ragioni e contesti della violenza sulle donne. Molte voci hanno espresso riflessioni intelligenti, ma la spinta originale è venuta dalla reazione a caldo della sorella Elena e dalle parole pacate e intense del padre il giorno dei funerali. Gino Cecchettin non ha assunto il ruolo della vittima ma ha individuato le responsabilità sociali, delle famiglie, della scuola e dei media, per trasformare una tragedia privata in una spinta al cambiamento. “Mi rivolgo per primo agli uomini”, una frase semplice che ha rotto gli stereotipi consolatori. Finalmente è apparso chiaro che la strage di oltre cento donne nel 2023 non è riducibile alla pazzia, a uomini etichettabili di volta in volta come mostri, bravi ragazzi o persone perbene, ma che è una questione sociale, politica e culturale che ha al centro la perdurante volontà degli uomini di esercitare il potere sulle donne: no alla tragedia di sopprimere la donna, la compagna, che a questo potere non è più disponibile a piegarsi.

Un primo studio dell’Università di Torino ci offre lo spaccato di una società disperata e senza amore. L’85% dei casi di femminicidio è avvenuto all’interno di una relazione intima e intensa, nella fascia di età tra 36 e 55 anni. La caratteristica particolare del femminicidio emerge anche dall’alto numero degli assassini che si suicidano (oltre un terzo) e dalle spesso efferate modalità del delitto. Questa volta nessuno ha invocato l’aumento delle pene e più galera, ma si è posto l’accento su prevenzione ed educazione, informazione e cultura, per cambiare la modalità maschile di relazionarsi con le donne e vivere la sessualità senza dominio: sì da sopportare anche le delusioni affettive, i fallimenti, i ri­fiuti e gli abbandoni.

Ed è chiaro che l’esplosione di tanta ferocia non può trovare giusti­ficazione nella infermità mentale o nella seminfermità mentale. Queste strategie difensive non aiutano gli autori del reato a prendere consapevolezza del delitto, del suo signi­ficato e delle conseguenze sociali. E proprio queste occasioni dimostrano che sono maturi i tempi per cambiare il Codice Rocco eliminando la non imputabilità per incapacità di intendere e volere: si veda la proposta dell’onorevole Magi (n. 1119), elaborata dalla Società della Ragione, condivisa da psichiatri e giuristi e da molte associazioni impegnate contro il manicomio.

Filippo Turetta avrebbe detto negli interrogatori: “Volevo che Giulia fosse soltanto mia” e “ho perso la testa”. Va aiutato a trovare altre parole, così può esprimersi la responsabilità sociale. Che non può che passare attraverso la sua piena assunzione di responsabilità personale. Occorre dunque un lavoro di lunga durata, in profondità. E che l’attenzione continui a splendere.