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di Maurizio Tortorella

Tempi, 6 febbraio 2024

A gennaio, già 15 detenuti si sono tolti la vita. Dietro le sbarre ci si uccide 18 volte più che fuori. L’idea di nuovi penitenziari è giusta, ma costosa. E per “combattere” l’alta recidiva una soluzione c’è: il lavoro. Altri due detenuti si sono tolti la vita in cella, rispettivamente a Verona e a Carinola, nel Casertano. Sale così a 15 il numero dei suicidi in cella nei primi 35 giorni del 2024. Altri 13 si sono uccisi in gennaio, mentre 19 sono deceduti per “altre cause”, e nella storia del sistema carcerario italiano non era mai accaduto che il tasso di mortalità, in un solo mese, arrivasse a livelli tanto alti. Per fare una proporzione, l’anno scorso - fuori dal carcere - i suicidi in Italia sono stati 700 in totale. Con un tasso simile a quello che si è verificato tra i detenuti nel gennaio 2024, invece, i morti sarebbero stati 12.800. Insomma, in carcere ci si uccide 18 volte (diciotto!) più che fuori.

Nelle 189 prigioni italiane il record storico dei suicidi risale al 2001, quando i morti furono 69. Ma le cause, oggi come allora, restano le stesse: il primo motivo sono le condizioni di vita in cella, oggettivamente inumane in gran parte delle carceri italiane, e soprattutto in quelle del Sud. Il secondo è il sovraffollamento. Negli ultimi tempi, il numero dei reclusi è aumentato al ritmo, quasi forsennato, di oltre 400 al mese: lo scorso 31 dicembre, in base ai dati ufficiali del ministero della Giustizia, si è giunti a una punta di 60.166 detenuti, mentre una generosa “capienza regolamentare” prevede non dovrebbero superare i 51.179 posti disponibili.

Nuove carceri? Un costo dai 4 ai 6 miliardi - Da ex pubblico ministero, il ministro Carlo Nordio conosce bene il problema e ha appena confermato la sua soluzione: “In tutta Italia”, ha detto, “esistono decine di caserme dismesse che potrebbero essere riconvertite in carceri”. Il problema è che la ristrutturazione dei vecchi edifici militari durerebbe anni, e quindi la soluzione non risolverebbe in alcun modo il problema immediato. Una decina d’anni fa il sociologo Luca Ricolfi aveva calcolato che anche l’edificazione di una serie di nuove carceri, congegnate in modo da risolvere una volta per tutte l’inadeguatezza italiana alle regole del diritto europeo, sarebbe costata dai 4 ai 6 miliardi di euro. Tanti soldi, indubbiamente. Diciamolo: troppi. Infatti altri dieci anni sono trascorsi, senza che nulla accadesse, e oggi Ricolfi è arrivato a una conclusione sconfortante: “Temo che nessun governo, né di destra né di sinistra, possa e voglia impegnarsi in un’impresa del genere”.

La situazione è disastrosa, in effetti, ma la politica pare proprio non accorgersene. La destra contesta alla magistratura i circa mille innocenti arrestati ogni anno, ma nel suo insieme è contraria a depenalizzazioni e misure alternative al carcere. Quanto alla sinistra, fa ancora meno. Anzi, è paradossale: oggi s’inalbera indignata per le manette strette ai polsi e alle caviglie di Ilaria Salis, detenuta in attesa di giudizio in un carcere ungherese, ma né il Pd né il Movimento 5 stelle dicono nulla sullo stato dei reclusi italiani. Non protestano. I pochi a farlo, in effetti, sono i soliti radicali, con l’ex parlamentare Rita Bernardini e con i vertici della loro organizzazione Nessuno tocchi Caino che dal 22 gennaio sono impegnati in uno sciopero della fame di cui - purtroppo - non sembra interessare a nessuno.

Recidiva e lavoro - Eppure ogni anno la spesa per la cosiddetta “esecuzione penale”, cioè la gestione delle carceri italiane e di tutto quel che ruota loro attorno, è altissima: si tratta in media di circa 2 miliardi di euro. Viene veramente da chiedersi come vengano impiegate, quelle risorse. Anche perché i risultati di tanta spesa sono scadenti: lo dimostrano le condanne che il sistema carcerario ha incassato anche di recente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e gli stessi dati della sicurezza. In Italia abbiamo un elevatissimo tasso di “recidiva”, cioè la propensione a delinquere di chi è stato dietro le sbarre. È recidivo il 68 per cento dei detenuti, mentre nel resto d’Europa la quota va al massimo dal 15 al 20 per cento. È un dato paradossale: in due casi su tre, chi esce da una prigione italiana torna al crimine.

Insomma, il carcere costa troppo ed è un’eccellente scuola di delinquenza. Ma c’è un’eccezione. Tra i pochi detenuti che in prigione svolgono un’attività lavorativa (in media uno su tre) la recidiva è invece molto più bassa: tra l’1 e il 5 per cento contro il 70 per cento del resto della popolazione carceraria. Ora Nordio sostiene che la ristrutturazione delle vecchie caserme abbandonate non soltanto “sarebbe a spese contenute, perché si tratta di strutture compatibili, con mura, garitte e ampi spazi per lavoro e sport”, ma aggiunge che “potrebbe essere realizzata anche dai detenuti”. Ecco: almeno si potrebbe dare loro un lavoro.