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di Andrea Cavaliere

Corriere della Sera, 19 marzo 2024

I recenti casi di cronaca ci ricordano il fallimento totale della finalità rieducativa della pena e del sistema penitenziario. Togliersi la vita in carcere a 20 anni il giorno del proprio compleanno rappresenta il fallimento totale della finalità rieducativa della pena e del sistema penitenziario, proprio nei confronti di chi, per la giovane età, avrebbe tutte le possibilità e il diritto di porre rimedio ad un proprio errore e, dopo aver scontato la pena, riprendere una vita normale.

Ma questo è solo il più toccante dei 25 suicidi avvenuti dall’inizio del 2024, uno ogni 72 ore, che hanno riguardato quasi sempre detenuti prossimi alla fine della pena o ancora in attesa di giudizio, reclusi per reati non particolarmente gravi, tutti comunque ridotti in uno stato di disperazione e di abbandono, a dimostrazione del fatto che le condizioni di oggettiva illegalità per carenza dei minimi presidi igienici, sanitari e psichiatrici nelle quali sono costretti a vivere sono insopportabili.

È proprio lo scandalo di una condizione carceraria lontana da ogni minimo standard di decenza e di umanità che deve richiamare la politica alle proprie responsabilità al fine di superare questo momento emergenziale determinato dalla condizione di sovraffollamento; l’azione politica dovrà poi proseguire con un intervento strutturale che porti ad una riforma del sistema penitenziario in grado di “rieducare” davvero i detenuti come recita l’articolo 27 della Costituzione. Anche per questo motivo a Roma, il 20 marzo, si terrà la manifestazione nazionale organizzata dall’Unione delle Camere Penali per denunciare questa strage in atto, con l’intervento di tutte le associazioni sensibili a tale emergenza e dei rappresentanti della politica favorevoli all’adozione di strumenti immediati volti alla soluzione della crisi, affinché si possa realizzare l’obiettivo di arrestare con urgenza il terribile fenomeno dei suicidi in carcere, perché oggi non si tratta più di tutelare solo la dignità dei condannati, ma di preservarne la vita.

È necessario poi raggiungere un risultato altrettanto importante e di più ampio respiro, ossia fare comprendere alla collettività che l’universo penitenziario, abbandonato a se stesso, rischia di essere trascinato all’interno di una deriva fatta di repressione e di disperazione e che solo quando la pena è scontata in modo umano e dignitoso il detenuto viene rieducato e reso migliore rispetto al momento del suo ingresso in carcere. La conseguenza di una modalità di detenzione corretta è che per tutti i reclusi, una volta scontata la pena e rientrati in società, il rischio di recidiva sarà bassissimo, e, pertanto, la assolutamente legittima richiesta dei cittadini di maggior sicurezza troverà un riscontro immediato e positivo.