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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 15 agosto 2023

Almeno 45 suicidi in meno di 8 mesi. Azzurra era tornata in carcere per scontare la vecchia pena, interrompendo bruscamente il suo percorso di ripresa. Togliersi la vita in carcere non è un “mistero insondabile” come dice il ministro.

Azzurra, la ragazza di 28 anni che si è impiccata nel carcere delle Vallette di Torino, lo stesso giorno in cui la donna nigeriana reclusa nel medesimo penitenziario ha scelto di lasciarsi morire di fame e sete, ha vissuto una vita difficile fin dalla sua infanzia. Ha avuto frequentazioni negative, è finita in un vortice dipeso da una sua problematica di fragilità psicologica che nel passato l’ha portata a compiere piccoli reati. Parliamo di violazioni della legge commessi dieci anni fa. E infatti ha cominciato a risalire dal vortice infernale.

Ma è tornata in carcere per scontare la vecchia pena, e così il suo percorso di ripresa è stato bruscamente interrotto, facendola precipitare nuovamente nell’abisso. Era seguita dal Sert che - ricordiamo - non si occupa solo di tossicodipendenza, ma anche delle dipendenze patologiche dalle quali la ragazza era affetta. Il tragico gesto dell’impiccagione non è stato, quindi, una fatalità. Pertanto, a differenza delle affermazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, non c’è alcun mistero insondabile che circondano diversi suicidi in carcere. Formulato in questo modo, sembra quasi un tentativo di eludere la responsabilità e di non affrontare le questioni più profonde.

L’atto estremo compiuto da questa giovane donna, così come tanti altri suicidi dietro le carceri, non è insondabile. Il sistema penale che abbiamo adottato, basato sull’idea di punizione attraverso il carcere a ogni costo, è intrinsecamente disastroso. Non possiamo addossare tutta la responsabilità esclusivamente agli agenti penitenziari, ai direttori e allo scarso personale sanitario. In questo contesto, emerge la rilevanza delle proposte come la commissione Ruotolo per l’innovazione del sistema penale, che è stata completamente ignorata dal ministro della Giustizia. Allo stesso modo, viene trascurata la proposta di legge nata su indicazione di Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, e promossa dal deputato Roberto Giachetti di Italia Viva, che riguarda la liberazione anticipata speciale. Questa proposta, rilanciata da innumerevoli appelli da parte delle “ragazze di Torino”, le detenute del carcere di Torino oggi al centro della cronaca, non ha avuto seguito. Inoltre, un’altra questione di vitale importanza è la mancanza di interesse verso l’appello di Sbarre di Zucchero, Ristretti Orizzonti e Antigone, che chiede un aumento dei colloqui e delle videochiamate per i detenuti.

D’altro canto, persino il disegno di legge che mirava a porre fine all’incarcerazione dei minori è stato di fatto neutralizzato. Il ministro della Giustizia Nordio sembra non interessarsi alle proposte suggerite da chi conosce da vicino il sistema penitenziario. Cosa fa al posto di affrontare queste questioni cruciali? Parla di costruire nuove carceri e di trasformare caserme dismesse in strutture penitenziarie. Questo approccio sembra essere una soluzione antiquata e inadeguata. Anche in passato, l’ex ministro grillino Alfonso Bonafede ha tentato un’analoga strada senza successo. Aveva fatto approvare un decreto legge volto all’individuazione di edifici militari dismessi, tra i quali le caserme stesse. Ma nulla di fatto. Questi edifici non soddisfano i requisiti dell’attuale concetto di carcere moderno, che richiede strutture architettoniche idonee al nuovo concetto di pena.

Il ministro Nordio menziona una differenziazione delle pene, ma al di là delle sue affermazioni sulle caserme dismesse, non è chiaro cosa intendi effettivamente. Non a caso il parlamentare Riccardo Magi di +Europa giustamente richiama l’attenzione del guardasigilli sulla proposta di legge da lui recentemente presentata, ma ancora non calendarizzata per la discussione, che mira a creare strutture specifiche per coloro che scontano pene brevi. Questi spazi potrebbero essere gestiti da enti locali o dal demanio, offrendo servizi essenziali con costi minimi o supportati dal volontariato. L’idea di case di reinserimento sociale rappresenta un approccio innovativo e umanitario al trattamento dei detenuti con pene brevi. Tali strutture potrebbero favorire un processo adeguato di reintegrazione nella società, contribuendo alla riabilitazione dei detenuti e riducendo il rischio di recidiva. Il segretario di +Europa sottolinea la necessità che il ministro Nordio spieghi in modo chiaro le sue intenzioni. Al momento, il guardasigilli si limita a parlare di “misteri insondabili” e di costruire “più carceri”. Tuttavia, è importante comprendere che quanto più degradante è l’istituzione penitenziaria, tanto maggiore è l’insicurezza che ne deriva. La destra al governo, che reclama “sicurezza e disciplina”, almeno su questo dovrebbe ragionarci su.