sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Luigi Manconi

La Repubblica, 19 marzo 2022

Al 15 marzo del 2022 sono 17 i detenuti che si sono tolti la vita all’interno del sistema penitenziario italiano: 1 ogni 4 giorni e poco più. Se questo ritmo proseguisse nel corso dell’anno, al 31 dicembre del 2022 avremmo un numero di suicidi quasi pari a quello massimo raggiunto nel 2009 (72).

Sulle cause di questi eventi, fatta salva l’avvertenza che ogni suicidio è storia a sé, ha inciso probabilmente la pandemia con i suoi effetti di ulteriore isolamento, frustrazione nei rapporti, crescita dell’ansia e dello stress. Ma restano come decisive le cause strutturali che rendono il carcere una macchina patogena, dove i suicidi sono 16-17 volte più frequenti di quelli verificatisi nella medesima fascia di età tra la popolazione libera.

E resta il fatto che un numero assai rilevante di atti di autolesionismo si registra nei primi giorni della detenzione (e nelle prime 72 ore). A seguito - presumibilmente - delle conseguenze dell’impatto tra il recluso “nuovo giunto” e il sistema detentivo, dove regole, gerarchie, ruoli, consuetudini e linguaggi possono risultare estranei e “stranieri”.

Ma c’è un altro dato di cui si parla raramente. Ed è quello relativo ai suicidi tra gli appartenenti alla polizia penitenziaria. La UIL Pubblica Amministrazione Polizia Penitenziaria (UILPA PP) è un sindacato del settore particolarmente attivo e agguerrito con cui mi capita di litigare spesso e volentieri. Devo al suo Segretario, Gennarino De Fazio, i dati relativi ai suicidi tra i poliziotti penitenziari.

E si tratta di dati, anch’essi, impressionanti, che superano quelli relativi ad altri apparati dello Stato. Nel corso di undici anni, dal 2011 al 2022, si sono registrate 78 morti tra gli agenti. In particolare, nel 2013 e nel 2019 si è verificato il numero più alto, ovvero 11. Sia chiaro: confondere i due gruppi di suicidi sarebbe, più che errato, profondamente sciocco: i poliziotti penitenziari vivono all’interno degli istituti esclusivamente il tempo di lavoro, anche se - ricordiamolo - è un tempo frequentemente maggiorato da turni assai lunghi e da straordinari obbligatori.

Eppure nulla mi leva dalla testa che l’immanenza e l’incombenza del carcere, anche come struttura fisico-materiale, e l’architettura opprimente, alienante e spesso disastrata possano pesare tra le motivazioni, oltre evidentemente quelle personali che restano determinanti. In ogni caso, sarebbe assai interessante una ricerca che analizzasse le biografie e il contesto di quelle 78 persone tra i poliziotti penitenziari che hanno deciso di togliersi la vita. Mi permetto di suggerire una simile iniziativa al nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), Carlo Renoldi, al quale invio i miei più calorosi auguri di buon lavoro.