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di Eleonora Martini

Il Manifesto, 28 ottobre 2023

Il diniego opposto ad una malata oncologica con tutti i requisiti richiesti dalla Consulta. Per la sanità regionale manca il sostegno vitale (che c’è). In Veneto avrebbero detto sì. A Roma una signora di 57 anni, malata oncologica in fase terminale, ha chiesto di mettere fine alle proprie sofferenze che reputa ormai intollerabili. Ha tutti i requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale nella importante sentenza 242 Cappato/Dj Fabo del 2019 per accedere al suicidio medicalmente assistito nella propria abitazione, ma l’Azienda sanitaria regionale Asl Rm 1, nella persona del Commissario straordinario Giuseppe Quintavalle e del direttore sanitario Gennaro D’Agostino, le negano quello che la Consulta ha riconosciuto come diritto costituzionale, sollecitando peraltro un intervento del legislatore. Diritto che finora ha permesso ad almeno altre sei persone, in Italia, di ottenere il nulla osta alla morte volontaria.

La donna, che preferisce mantenere l’anonimato e chiede di non essere identificata neppure con un nome fittizio, ad inizio agosto aveva richiesto alla propria azienda sanitaria la verifica delle proprie condizioni di salute, come prevede l’iter indicato dai giudici costituzionali. A settembre una commissione medica multidisciplinare l’aveva visitata ma dopo alcune settimane, non ricevendo risposta, il pool di avvocati dell’associazione Luca Coscioni a cui la signora si era rivolta ha diffidato la Asl Rm1 a non perdere ulteriore tempo, perché ogni giorno che passa è vissuto come una tortura dalla paziente.

Solo a quel punto arriva la comunicazione dell’Azienda sanitaria regionale: è un diniego netto, senza certificazioni allegate, secondo quanto riferisce l’associazione Coscioni. “Non c’è né la relazione multidisciplinare redatta dai medici che hanno sottoposto a verifica la nostra assistita né il parere del comitato etico competente - ricostruisce l’avvocata Filomena Gallo, a capo dell’associazione e coordinatrice del collegio legale - L’azienda sanitaria riconosce che la signora è affetta da una malattia irreversibile fonte di sofferenze per lei divenute intollerabili e che è nella piena capacità di autodeterminarsi ma esclude la presenza di un trattamento di sostegno vitale, nonostante sia chiaro dalla documentazione medica che la signora è sottoposta a terapia antalgica di derivazione morfinica e ad una terapia di sostegno con ossigeno, alla quale è attualmente sottoposta in modo continuativo. Senza la terapia antalgica, per intenderci, il dolore sarebbe talmente insopportabile da indurle la morte. Ma non sono stati neppure ascoltati i suoi medici personali”.

La donna però non vuole sottoporsi alla cosiddetta terapia del dolore “per non lasciare i suoi cari in una lunga ed estenuante attesa della morte”. E, malgrado abbia intrapreso le procedure per l’aiuto al suicidio in una clinica svizzera, preferirebbe concludere la propria esistenza nella sua città. L’associazione Coscioni si è opposta al diniego “illegittimo” ma dall’Asl Rm1 ancora nessuna risposta. “Se non arriverà entro poche ore - conclude l’avvocata Gallo - la signora sarà privata definitivamente del suo diritto di scegliere sul suo fine vita e sarà costretta ad affrontare un’agonia contro la propria volontà”.

È la seconda volta che accade nel Lazio, dunque non solo con la Regione guidata dalla destra. Il primo diniego era stato opposto nel 2021 (quando assessore alla Sanità era Alessio D’Amato, allora Pd oggi Azione) alla richiesta della 37enne Daniela, dilaniata da tre tumori, che non ha fatto in tempo ad arrivare alla prima udienza del processo intentato contro la sua azienda sanitaria: è morta poco prima. Nel Veneto leghista invece, per esempio, la signora Gloria, anche lei malata oncologica, ha ottenuto il nulla osta al suicidio assistito che si è consumato nel luglio scorso perché i farmaci chemioterapici che assumeva sono stati riconosciuti come sostegni vitali. Come anche l’assistenza h24 è stata considerata dal Friuli Venezia-Giulia un sostengo vitale che ha permesso alla signora Anna, affetta da distrofia muscolare, di ottenere l’autorizzazione ad una “dolce” morte. Starà ora a lei, e a lei sola, decidere se e quando farsi aiutare.