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di Antonio Polito

Corriere della Sera, 21 gennaio 2024

Nell’inchiesta per truffa, l’aggravante della “minorata difesa” di chi sta in rete: è il problema della nostra epoca. C’è un dettaglio dell’inchiesta per truffa sul Pandoro di Chiara Ferragni che va ben al di là di quel processo penale, perché ci dice qualcosa su noi stessi quando stiamo sul web. Sapete che la Procura ha contestato agli indagati l’aggravante della “minorata difesa”. Una circostanza prevista dal nostro codice nei casi in cui il reo, o presunto tale, sfrutti la debolezza della sua vittima, la sua particolare condizione di vulnerabilità, ai fini di commettere o proseguire un reato. Tanto per fare un esempio: se qualcuno ruba il portafoglio a un anziano o a un disabile, si avvale della posizione di svantaggio di chi ha una ridotta capacità di difesa. Dunque deve essere punito più severamente. Lo stesso se qualcuno si approfitta di una persona che abbia avuto un malore, o che sia per esempio priva dei sensi. O se prende a pugni un ragazzino. E così via.

Tutte queste fattispecie sono previste nel codice penale. E anzi di recente la giurisprudenza della Cassazione vi ha aggiunto il caso in cui il reato sia compiuto nelle ore notturne, “in considerazione della attenuata possibilità di sorveglianza da parte dei privati e della ridotta vigilanza pubblica”. Mentre il legislatore ha inserito esplicitamente il criterio dell’età anagrafica della vittima, per garantire una tutela rafforzata ad anziani e minori.

Ma la novità è che la previsione di questa aggravante nel caso Ferragni, se confermata, darà una sanzione giuridica a un dato di fatto culturale da tempo al centro delle nostre vite. E cioè che le persone sul web sono più esposte, più deboli, più facilmente ingannabili. E tanto più lo sono quanto maggiore è la fama, la notorietà, la capacità di influenza dell’ingannatore o ingannatrice (per ora nel caso in specie solo presunti, appettiamo il verdetto prima di condannare Chiara Ferragni, per quanto antipatica ci possa essere). Perché sfruttando la propria celebrità, che noi erroneamente scambiamo per qualità, per loro è più facile abusare della credulità del popolo del web. Il quale ha una specifica caratteristica: se la beve facilmente.

Arriverà cioè in una piccola aula di tribunale il più grande problema della nostra epoca. Quello che ci fa penare osservando i nostri figli credere a qualsiasi cosa leggano o vedano sui social (soprattutto ciò che vedono, perché le immagini appaiono più attendibili, quasi inconfutabili, mentre invece la “verità” che esse certificano è sempre parziale, se non se ne conosce il contesto, il luogo dove sono state riprese, chi le ha riprese, se sono integrali o con tagli, che cosa è accaduto prima e che cosa dopo, eccetera eccetera). Lo stesso problema che ci fa dubitare della qualità di certi successi mediatici. E che in casi sempre più frequenti mette in discussione perfino la genuinità dei consensi politici e dei risultati elettorali.

Il processo sul Pandoro potrebbe dunque aprire un vero e proprio vaso di Pandora, qualora i giudici riconoscano l’aggravante della “minorata difesa”. Certificherebbe infatti che quando siamo sulla Rete siamo tutti “minorati”. Così tanto da non poterlo nemmeno capire da soli.