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di Lucandrea Massaro

romasette.it, 11 marzo 2024

L’esperienza della religiosa da molti anni volontaria nel carcere di Rebibbia. Lettere e racconti in un libro presentato nella parrocchia di San Gaspare del Bufalo. “Mi sento di inginocchiarmi davanti a loro, alla loro umanità, a certe conversioni di fede”: così suor Emma Zordan, parlando dei detenuti di Rebibbia che da ormai dieci anni visita regolarmente tutte le settimane arrivando da Latina a Roma. Negli anni ha imparato a superare i suoi pregiudizi, ma fin dall’inizio del suo servizio come volontaria nel carcere si è resa conto delle difficili condizioni di vita nel carcere e soprattutto dell’abbandono in ci vivono i detenuti.

“Dobbiamo abbattere questo pregiudizio della “‘vendetta” quando parliamo di pena”, dice ancora la religiosa delle Adoratrici del Sangue di Cristo che da anni porta avanti un laboratorio di scrittura creativa con i detenuti. Un laboratorio che ha portato alla pubblicazione di diverse raccolte di lettere e racconti autobiografici, l’ultimo dei quali, “Ristretti nell’indifferenza. Testimonianze dentro e fuori il carcere” (edizioni Iacobelli) - con una prefazione del cardinale presidente della Cei Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna - è stato presentato sabato 9 marzo nella parrocchia di San Gaspare del Bufalo.

Il libro è stato presentato alla presenza anche dell’ex garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale Gabriella Stramaccioni, moderato dal giornalista Roberto Monteforte, che a Rebibbia - insieme ai detenuti - realizza il giornale “Non tutti sanno che” sulla condizione carceraria, e introdotto dal parroco don Domenico d’Alia, dei Missionari del Preziosissimo Sangue, che ha invitato ad “ascoltare con tutto il cuore quella che è una grande opera di misericordia”.

“In carcere entra la persona, non il reato, ma per molti non è così, per molti i detenuti sono solo la loro colpa”, spiega Stramaccioni, che ricorda come solo il 10% dei carcerati abbia un diploma e che quindi è la parte più debole, meno attrezzata della società, quella che finisce dietro le sbarre. “Questo libro è scritto dai detenuti e da persone che si fanno carico della questione carceraria, per fare da ponte tra il dentro e il fuori e testimoniare l’umanità che c’è dentro il carcere”, sottolinea Monteforte presentando il libro ed esortando i presenti a farsi “ponte”.

“Loro sentono di portare il marchio del detenuto. Ogni sabato li incontro e mi raccontano di tutto, della loro rabbia e delle loro condizioni durissime”, dice suor Emma. Ai “ristretti” viene riconosciuto per i pasti dell’intera giornata un totale di 2 euro e 39 centesimi, tutto quello che serve in più è a carico delle famiglie con il cosiddetto “sopravvitto”, e questo chiaramente ha delle conseguenze sulla salute, sull’umore e mette in grave difficoltà sia le famiglie che il detenuto. Senza considerare quei carcerati che non possono rivolgersi alle proprie famiglie per gli aiuti. “Dobbiamo sensibilizzare tutti sulla condizione carceraria: i detenuti hanno bisogno di ascolto e attenzione”, afferma la religiosa, esortando a pregare per loro e raccontando come anche loro preghino la sera, ricordando i molti Rosari che ha distribuito nel tempo. “Quando non li vedo, quando sono lontana, mi mancano”, dice suor Emma, che ha instaurato con loro un rapporto viscerale, non senza contrasti talvolta con l’autorità carceraria. In prigione tutto è provvisorio, anche le visite di una religiosa che insegna ai detenuti a scrivere, consentendo loro di dotarsi di uno strumento per capire se stessi e per raccontarsi oltre che per raccontare agli altri la propria condizione, la propria vita, i propri errori e le proprie speranze.