sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giuliano Gasperi

Corriere del Ticino, 26 settembre 2024

Anche i figli delle persone messe sotto inchiesta o in carcere devono considerarsi vittime: chi le tutela? In passato questo tipo di vittime era lasciato in secondo piano, ma le cose stanno cambiando. Ne parliamo con Siva Steiner, capo dell’Ufficio cantonale dell’assistenza riabilitativa. “Chissà i figli…”. Non è raro sentir dire queste parole; di solito quando succede un incidente grave, oppure quando una coppia divorzia. Una situazione meno frequente, ma non meno impattante a livello emotivo, vede un papà o una mamma messi sotto inchiesta o addirittura in carcere. Può essere un fulmine a ciel sereno, perlomeno per i suoi piccoli familiari. E in un attimo cambia tutto; fra le mura di casa e nei rapporti con la comunità locale. In essa, accanto alle inevitabili reazioni negative sui presunti reati commessi, può emergere anche un sentimento di compassione verso i minori travolti, senza colpa alcuna, dai guai dei genitori.

Ne abbiamo avuto conferma, senza entrare nei meandri di una storia privata e delicata, raccogliendo pareri su un recente caso di attualità giudiziaria. Conferma che lascia aperta una domanda: in generale, come sono tutelati bambini o ragazzi che subiscono queste situazioni e possono essere considerati anche loro delle vittime? Lo Stato o altri enti se ne occupano? Oggi la risposta è sì, ma non è sempre stato così, e a livello svizzero resta molto lavoro da fare.

Strappi da ricucire - “In passato questo genere di vittime veniva lasciato in secondo piano, ma le cose stanno cambiando e se ne parla sempre di più” osserva Siva Steiner, a capo dell’Ufficio dell’assistenza riabilitativa, che si occupa del reinserimento sociale di chi ha avuto guai giudiziari. Un progetto gestito dallo stesso servizio cantonale insieme all’associazione L’OASI si chiama “Pollicino” e mira, tra le varie cose, a tutelare le relazioni fra i bambini e i loro genitori indagati o in prigione, ad aiutare i figli ad affrontare il momento e a sostenere gli adulti nei loro ruoli di papà e mamme. Il tutto, se i diretti interessati sono d’accordo, organizzando colloqui con specialisti e incontri tra familiari, dentro e fuori dalle mura del carcere. Quest’ultimo offre dei luoghi specifici per questi momenti, fra cui la casetta conosciuta come “La Silva” in cui le famiglie, se la direzione del carcere lo permette, possono pranzare o trascorrere un’intera giornata insieme. “Sempre all’interno del penitenziario cantonale - prosegue Steiner - per tre volte all’anno organizziamo delle piccole ‘festè in cui i detenuti e i loro familiari e conoscenti stanno tutti insieme: un tentativo di ricostruire una normalità sociale”.

Un mosaico di aiuti - E nel mondo esterno? Là non c’è solo la compassione di cui parlavamo in precedenza. Ci sono anche rischi, per bambini e ragazzi coinvolti in queste situazioni, soprattutto se le vicende giudiziarie dei genitori hanno avuto una certa eco mediatica. E con “mondo esterno” intendiamo anche quello virtuale di Facebook, Instagram e altre piattaforme, dove ci sono ancora meno filtri e difese per chi è fragile. “Non sono comunque soli” rassicura il nostro interlocutore.

“Sono diverse le istanze dello Stato attente e presenti per aiutarli: oltre al nostro ufficio ci sono i servizi psicosociali, medico-psicologici, quelli sociali comunali e cantonali, le Autorità regionali di protezione e le stesse strutture carcerarie, senza dimenticare professionisti privati come medici e psicologi in particolare”. Giocano un ruolo, seppur indirettamente, anche le autorità penali, “in particolare il Ministero pubblico, i tribunali e il Giudice dei provvedimenti coercitivi che, nelle loro decisioni, tengono sempre conto della situazione dei familiari delle persone detenute, favorendo per quanto possibile le relazioni familiari”. In Ticino quindi, a differenza che in altri cantoni, non c’è un servizio specifico che si occupa dei familiari di persone indagate o in cella, ma esiste un “mosaico” di enti, professionisti e singoli progetti che nel complesso, a mente di Steiner, garantisce un sostegno adeguato. A conferma di ciò, il progetto Pollicino è stato menzionato come esempio positivo in una ricerca sul tema condotta due anni fa, su mandato della Confederazione, dalla Scuola universitaria professionale zurighese per le scienze applicate (ZHAW).

Le lacune - Lo stimolo per approfondire la questione era giunto nel 2015 dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che aveva raccomandato alla Svizzera di colmare le sue lacune in questo ambito avviando, per cominciare, un’indagine specifica. Quella della ZHAW è stata seguita, nel 2023, da uno studio condotto dal Dipartimento federale di giustizia e polizia, che ha messo in evidenza la mancanza sia di statistiche sul numero di bambini con un genitore detenuto, sia di uno studio ad hoc sulle conseguenze psicologiche per loro, aggiungendo che i bambini non vengono considerati abbastanza nella pianificazione delle pene dei genitori e che le possibilità di contatto sono regolate in modo molto diverso a dipendenza delle strutture carcerarie. “La situazione dei bambini con la mamma o il papà in carcere è stata a lungo trascurata, soprattutto nella Svizzera tedesca” conclude il Dipartimento federale di giustizia e polizia. Comunque, “negli ultimi anni la consapevolezza sul tema è aumentata” e vari Cantoni hanno iniziato a muoversi per tutelare anche questo genere di vittime.