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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 7 settembre 2023

Ci aveva provato invano l’ex guardasigilli grillino Alfonso Bonafede, ancora prima la ex ministra Cancellieri nel 2014. Ora ci vorrebbe riprovare anche l’attuale governo con il sottosegretario Delmastro che ha annunciato il “nuovo” piano carceri. Rimandare nel proprio Paese i detenuti immigrati è spesso indicata come la soluzione al sovraffollamento dei penitenziari italiani. Ma ci sono diversi motivi per cui è una strada impraticabile se ha come obiettivo ridurre vertiginosamente la presenza degli stranieri dalle nostre patrie galere.

Andiamo con ordine. Partiamo dai numeri. L’ultimo rapporto dell’associazione Antigone ci racconta che detenuti stranieri sono il 31,3 per cento sul totale, un dato in calo rispetto al passato sia rispetto al numero di detenuti sia rispetto al numero di stranieri presenti in Italia. Basti penare che quindi anni fa erano oltre il 37 percento. I detenuti non italiani sono però sovra rappresentati tra le persone in custodia cautelare (33,7 per cento) e tra chi è in attesa di processo (35 per cento). La maggior parte degli stranieri sono in carcere per pene brevi: secondo l’associazione Antigone, questo è segno di una “criminalità meno organizzata e autrice di delitti meno gravi”.

Come funzione attualmente il rimpatrio dei detenuti - Ma per comprendere la questione dell’espulsione, vediamo come stanno attualmente le cose. Un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, irregolarmente presente in Italia, detenuto con pena - o residuo di pena da scontare - inferiore ai due anni (a meno che si tratti di delitti particolarmente gravi), può già essere espulso dal territorio nazionale. Si tratta di una sanzione alternativa alla detenzione prevista dalla legge. Il carcere dove lo straniero è detenuto, generalmente comunica all’Ufficio di sorveglianza nome e posizione giuridica di coloro il cui fine pena sta avvicinandosi ai due anni, in modo che si effettui per tempo la necessaria istruttoria. L’interessato, se desidera essere espulso e tornare al proprio Paese invece di restare altri due anni in prigione in Italia, può facilitare il lavoro dell’ufficio presentando istanza di espulsione, corredata da alcuni documenti. L’istanza non è necessaria, poiché l’espulsione è di fatto obbligatoria, però può essere utile al detenuto che desideri tornare in patria, in quanto riduce i tempi di attesa in carcere.

L’espulsione dello straniero detenuto può essere disposta anche se è provvisto di regolare permesso di soggiorno, ma sulla base di specifici reati: abitualmente dedito a traffici delittuosi o alla commissione di reati contro i minorenni e contro la sanità e la sicurezza pubblica (art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423 “Misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità); indiziato di appartenere a associazioni di tipo mafioso. Nel 2014, con il decreto cosiddetto “svuota-carceri”, hanno modificato ulteriormente il testo, per rendere più facile l’espulsione degli stranieri colpevoli di reati entro i due anni di pena, a cui vengono inclusi anche i reati inclusi al testo unico dell’immigrazione, sempre se entro i due anni o per chi sia colpevole di rapina e estorsione aggravata. Nel contempo, non possono essere espulsi i cittadini extracomunitari che potrebbero essere perseguitati, nel proprio Paese, per motivi razziali, religiosi, politici, o per condizioni sociali o personali, o se vi sia il rischio che i cittadini vengano rinviati in un altro Paese dove sarebbero perseguitati. Non si possono espellere i cittadini stranieri minori di diciotto anni, o in possesso della carta di soggiorno rilasciata dalle autorità italiane, o conviventi con parenti o coniuge italiani, o donne in stato di gravidanza o con figli nati da meno di sei mesi.

Un’idea difficile e impraticabile da realizzare - La possibilità di svuotare le carceri attraverso l’espulsione dei detenuti stranieri è la vecchia ricetta come il discorso del costruire più carceri: esistono numerose ragioni che rendono questa idea estremamente difficile da realizzare. Uno dei principali ostacoli è rappresentato dai trattati internazionali. Quando si tratta di espulsione o trasferimento di detenuti da un carcere all’altro, è necessario ottenere il consenso degli stati coinvolti attraverso trattati internazionali. Tuttavia, questi accordi sono spesso limitati o addirittura inesistenti, il che complica notevolmente l’applicazione di questa soluzione. Inoltre, molti paesi di origine dei detenuti stranieri, come l’Albania, hanno già adottato nel passato politiche di amnistia per affrontare il sovraffollamento nelle loro carceri. In questo contesto, è altamente improbabile che tali nazioni accettino il trasferimento di detenuti dall’Italia, poiché ciò aggraverebbe ulteriormente il problema delle carceri sovraffollate nei loro territori. Un altro ostacolo significativo è rappresentato dall’identificazione dei detenuti. Molte persone private della libertà sono sprovviste di documenti di identità, il che rende estremamente difficile stabilire con certezza il loro paese d’origine e organizzare procedure di espulsione.

La complessità burocratica è un ulteriore fattore che ostacola questa proposta. Anche in presenza di accordi bilaterali, la burocrazia spesso crea difficoltà che impediscono o ritardano notevolmente le procedure. Ad esempio, la convalida della condanna può rappresentare un problema di lungaggine e complicazione. Inoltre, qualsiasi procedura di espulsione richiede che il detenuto abbia ricevuto una condanna definitiva, il che riduce notevolmente il numero di candidati idonei all’espulsione. Dal punto di vista economico, l’idea di risparmiare attraverso l’espulsione dei detenuti stranieri potrebbe non essere così vantaggiosa come appare. Anche se venissero espulsi numerosi detenuti di origine straniera, i costi del sistema penitenziario non diminuirebbero necessariamente in proporzione, poiché alcune spese sono fisse. Un aspetto fondamentale è la questione del consenso del detenuto. Le deportazioni di massa non possono essere imposte unilateralmente; l’espulsione in sostituzione del carcere deve essere consensuale. Questo solleva importanti questioni etiche e legali. Molti stranieri detenuti in Italia vivono nel paese da molti anni, hanno stabilito legami familiari e sociali e avviato progetti di vita. L’espulsione metterebbe bruscamente fine a queste esistenze, causando separazioni familiari e interrompendo processi di integrazione sociale.

Va inoltre sottolineato che gli stranieri spesso commettono reati minori, che derivano principalmente dalla loro condizione di esclusione. Infine, vi è il rischio di tortura o trattamenti inumani nei paesi di destinazione. Prima di considerare l’espulsione, è fondamentale valutare attentamente le condizioni delle carceri nei paesi coinvolti, poiché il rischio di abusi potrebbe essere elevato. In conclusione, molte sfide giuridiche, pratiche ed etiche rendono impraticabile l’idea di svuotare le carceri attraverso l’espulsione dei detenuti stranieri.