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di Gianluca Modolo

La Repubblica, 15 maggio 2023

Netta affermazione alla Camera di Move Forward e Pheu Thai. Per eleggere il premier però servono anche i senatori, nominati dagli ex golpisti. Un’onda arancione. Specialmente nella capitale Bangkok, dove si prendono tutti i seggi in palio tranne uno. Move Forward, il partito del 42enne Pita Limjaroenrat, trascinato dal voto dei giovani thailandesi, è la sorpresa più grande di questa notte elettorale. Secondo lo spoglio ancora in corso, è davanti (115 seggi) seppur di poco, a quello che alla vigilia veniva dato come il favorito, il Pheu Thai guidato dalla 36enne Paetongtar Shinawatra, altro partito dell’opposizione che vuole mettere fine a quasi un decennio di governi filo-militari (112 seggi). Militari che registrano una pesantissima sconfitta: 40 seggi per il partito al governo, il Palang Pracharat, e appena 25 per il premier uscente, l’ex generale golpista Prayuth Chan-ocha.

Nel quartier generale di Move Forward, dove quelli sopra i 45 anni si contano sulle dita di due mani appena, pare di stare in un pub piuttosto che in una sede di partito: i volontari propongono birre artigianali locali, si mangia e si canta. Ognuno ha qualcosa di arancione, il colore del movimento: la borsa, lo smalto, un cappellino, una maglietta. Un ragazzo ne porta una con su scritto in inglese: “No more toxic democracy”, basta con la democrazia tossica. “I militari alimentano soltanto la corruzione in questo Paese”, ci dice la diciottenne Kaohom. “C’è bisogno di una svolta”.

Una valanga di voti chiedevano e una quasi-valanga hanno ottenuto, entrambi gli schieramenti dell’opposizione. Pheu Thai e Move Forward, sono destinati ora ad unire le forze. “Spingeremo per una coalizione con loro”, dice col sorriso il 42enne laureato ad Harvard, presentandosi in conferenza stampa cinque minuti dopo le 22, accolto dai suoi sostenitori al grido di “primo ministro, primo ministro!”. “Contiamo di arrivare a 160 seggi”, dice. I due partiti, mettendosi insieme, potrebbero arrivare, secondo le proiezioni, a circa 280 seggi (su 500) alla Camera. Ma per i risultati definitivi potrebbe volerci molto più tempo: la commissione elettorale si è data sessanta giorni per certificarli definitivamente, visto il complesso sistema elettorale thai.

Per controbilanciare l’influenza dei 250 senatori nominati dai militari, l’opposizione avrebbe bisogno però di 376 seggi. Questo perché il primo ministro viene scelto a maggioranza semplice da un voto congiunto della Camera e del Senato. Si apriranno ora settimane, se non mesi, di discussioni. Se l’establishment al potere dovesse escludere dal nuovo governo i due partiti usciti vincitori, si potrebbe aprire un nuovo periodo di instabilità per la Thailandia. Uno scenario che consentirebbe ai partiti sostenuti dall’esercito di rimanere al potere è infatti possibile, visto che il Paese non è nuovo a interventi militari e giudiziari nel processo democratico. Negli ultimi 90 anni ci sono stati 12 colpi di Stato.

Rilevante sarà anche il partito centrista, Bhumjaithai, attualmente terzo con 65 seggi: il partito - che spinse per la depenalizzazione della marijuana lo scorso anno - potrebbe essere indispensabile per qualsiasi potenziale coalizione. La performance di Move Forward evidenzia la popolarità del partito nei principali centri urbani della Thailandia, in parte dovuta al suo sostegno tra gli elettori più giovani, all’uso efficace delle piattaforme social, alla volontà di modificare la Costituzione scritta dai militari e alla revisione di quell’articolo 112 della Carta, il reato di lesa maestà, che è oggi uno dei più severi al mondo e può portare fino a 15 anni di carcere in un Paese dove il sovrano, Maha Vajiralongkorn, gode di uno status quasi divino. Oltre a Bangkok, il partito sembra destinato a vincere anche nelle province di Chiang Mai e Phuket. Un’onda arancione sulla Tailandia. Chissà se basterà.