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di Francesco Casula

Gazzetta del Mezzogiorno, 5 luglio 2023

Le indagini risalgono al 2015, chiusa l’inchiesta: nei guai tre specialisti e l’ex direttore sanitario. A un solo detenuto sarebbero stati estratti 40 denti, 8 in più di quelli di un normale essere umano. Un numero raggiungibile solo perchè alcuni denti risultavano estratti due volte, altri addirittura tre volte. Per un altro detenuto, invece, sulla carta sarebbero state eseguite ben 15 estrazioni dentarie, ma interrogato dagli investigatori l’uomo ha dichiarato di aver effettuato.

È quanto emerge dalla nuova inchiesta sulla gestione della struttura sanitaria nel carcere di Taranto che vede al momento indagati quattro medici. I fatti risalgono al 2015, ma nelle scorse settimane il sostituto procuratore della Repubblica Maria Grazia Anastasia ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini condotte dai poliziotti della Divisione Anticrimine di Taranto: l’atto è stato poi notificato alle parti e ai loro difensori.

Secondo l’accusa, tre medici specialisti e l’allora direttore sanitario della struttura penitenziaria avrebbero sostanzialmente dichiarato di aver effettuato prestazioni sanitarie che in realtà per gli investigatori non c’erano mai state. In particolare due odontoiatre, avrebbero avuto un aumento significativo degli incassi a partire dal 2008 quando cioè la gestione della struttura sanitaria è passata dal Ministero della Giustizia all’Asl di Taranto: fino a quell’anno nessuna delle due aveva superato la somma di 18mila euro all’anno a causa dei limiti di spesi imposti dall’amministrazione, ma da quando la gestione è diventata compito dell’Asl i compensi sarebbero lievitati. Nelle carte si legge, ad esempio, che una delle due avrebbe incassato nel 2012, la somma di 85mila euro. Un aumento che gli investigatori definiscono “insolito quanto notevole”.

Negli atti dell’inchiesta si evidenzia inoltre che “veniva dunque incrementato anche il numero delle prestazioni sanitarie per detenuto fornito dalle due dottoresse, tanto da far legittimamente pensare ad un impegno delle dottoresse, considerati i tempi tecnici e fisiologici necessari per ogni singola prestazione, che protrarsi per circa 12 ore per giornata lavorativa”. Inoltre gli investigatori scrivono che una delle due si recava “presso la casa circondariale circa 4 o 5 volte al mese effettuando mediamente oltre 100 prestazioni al giorno suddivise tra quattro o cinque detenuti”. Non solo. L’Asl ha scritto in una lettera che non è stato ritrovato alcun contratto stipulato con le due professioniste che non risultano neppure iscritte nell’elenco dei “medici abilitati all’esercizio della medicina penitenziaria”.

Insomma per l’accusa i due medici non potevano effettuare prestazioni nella struttura carceraria eppure dal 2008 al 2016 hanno percepito circa 90mila euro annui. Come detto nei giorni è stato notificato ai quattro medici l’avviso di conclusione delle indagini preliminari: entro i 20 giorni successivi dalla notifica, gli avvocati dei professionisti sotto accusa, tra i quali gli avvocati Antonio Raffo e Ivan Zaccaria, avranno la facoltà di chiedere l’interrogatorio dei propri assistiti oppure depositare memorie scritte con le quali chiarire la propria versione dei fatti. Subito dopo sarà la procura a decidere se archiviare le accuse oppure chieder di mandare a processo gli indagati.