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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 12 ottobre 2023

Rispondendo all’interrogazione di Giachetti (Iv), il guardasigilli ribadisce che bisogna comunicare i motivi della chiamata. Bernardini: “E se devono denunciare un pestaggio?”. A rischio la privacy. La scorsa settimana, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha risposto all’interrogazione del deputato di Italia Viva Roberto Giacchetti sulle modalità organizzative per i permessi delle telefonate dei detenuti con i loro difensori presso l’Istituto Penitenziario Pagliarelli di Palermo. Ma la risposta non soddisfa e conferma che il problema rimane.

Nell’interrogazione posta dall’esponente di Italia Viva, viene denunciata una vera e propria violazione sulla modalità in cui si permettono le telefonate dei detenuti con i propri avvocati difensori. In particolare, Giachetti ha fatto riferimento a una denuncia presentata dall’avvocato Vito Cimiotta, secondo la quale ai detenuti viene richiesto di specificare i motivi della richiesta di colloquio telefonico con il loro difensore.

Dall’interrogazione emerge che tale pratica sarebbe estesa in molti istituti penitenziari, specialmente per i detenuti condannati a pena definitiva. A riferirlo al deputato Giachetti è stata Rita Bernardini, presidente di Nessuno tocchi Caino. Tanto l’avvocato Cimiotta quanto il dirigente penitenziario Sergio La Montagna hanno confermato che tale pratica è ampiamente consolidata in vari istituti penitenziari, subordinando le telefonate dei detenuti ai loro avvocati alla preventiva autorizzazione prevista dall’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. L’interrogazione di Giachetti ha quindi sollevato domande cruciali sulla legalità e sulla costituzionalità di questa pratica diffusa nei penitenziari italiani. La richiesta di motivare il colloquio telefonico con il difensore sembra essere una chiara violazione del diritto di difesa e del diritto alla privacy dei detenuti, aspetti centrali del sistema giuridico italiano e dei diritti umani.

Il guardasigilli ha risposto evidenziando che le disposizioni interne del carcere hanno cercato di bilanciare le esigenze di sicurezza e l’abbondante numero di detenuti, fornendo regole chiare per le telefonate. Tuttavia, il ministro Nordio ha anche riconosciuto l’importanza fondamentale del diritto alla difesa, sottolineando che il diritto di conferire con il proprio difensore è inviolabile e non può essere compresso dalla detenzione, a meno che non siano coinvolte altre questioni come le limitazioni temporanee stabilite dalla legge.

Nella sua risposta, il ministro ha spiegato che le telefonate con i difensori sono strettamente regolate in base alle specifiche esigenze dei detenuti. Ad esempio i detenuti con posizione giuridica di imputati possono intrattenere colloqui senza restrizioni, mentre per gli appellanti l’autorizzazione è subordinata a determinati motivi, come udienze in corso o imminenti. Per i detenuti definitivi l’autorizzazione è concessa solo in presenza di specifiche motivazioni, quali l’imminenza di attività processuale.

Nordio, nella sua risposta, ha sottolineato che, sebbene le telefonate siano regolate, l’obiettivo principale è garantire l’accesso al difensore in modo equo e non discriminatorio. Le restrizioni sono applicate in modo differenziato, considerando le situazioni individuali e le esigenze processuali dei detenuti. Inoltre, il ministro ha riconosciuto le differenze nelle modalità organizzative tra gli istituti penitenziari in tutto il Paese. Ogni istituto ha disposizioni interne che tengono conto della tipologia e del numero dei detenuti, delle tecnologie disponibili e dei mezzi a disposizione.

“La risposta è un continuo arrampicarsi sugli specchi!”, tuona a Il Dubbio l’avvocato Vito Cimiotta, che ha difeso il detenuto colpito dalle restrizioni nel carcere Pagliarelli di Palermo. “Il ministro - prosegue l’avvocato - cerca di spostare l’attenzione su problemi organizzativi, quando invece il fulcro della questione riguarda diritti inviolabili, come la difesa”. Ma aggiunge: “A ogni buon conto ammette che la prassi è quella di dare priorità a una esigenza piuttosto che ad un’altra. Nella sostanza si demanda agli organi dell’istituto penitenziario una certa discrezionalità, che, a parere del sottoscritto, non ha modo esistere”. E chiosa: “Chiedere al detenuto il motivo della telefonata al proprio difensore è, già di per sé, una grave violazione”.

Ancora più dura è Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino che, ricordiamo, sollevò e confermò la questione denunciata dall’avvocato Cimiotta: “Nella sostanza, il ministro ribadisce che per parlare con il proprio difensore i detenuti devono essere autorizzati dalla Direzione indicando nella richiesta i motivi per i quali si intenda telefonare: Il diritto di difesa viene così compromesso nella fase dell’esecuzione penale”. Bernardini, quindi, si chiede: “Se un detenuto deve consultarsi con il proprio legale perché ha subito un pestaggio, ha senso che motivi al Direttore la sua richiesta? Non so chi prepari le risposte a Nordio, ma un’occhiata la vuole dare per valutare ciò che gli fanno dire?”.