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di Mario Di Vito

Il Manifesto, 16 luglio 2023

Meloni vorrebbe raffreddare lo scontro con le toghe. Il guardasigilli va avanti, rivendica la separazione delle carriere e incassa l’ok di Fi. Sarà spericolato e sarà imprudente, ma sarebbe ingeneroso dire che le uscite dell’ultima settimana di Carlo Nordio siano figlie di uno suo presunto non saper stare al mondo.

Al contrario, le picconate, del tutto fuori linea rispetto alla prudenza predicata da Giorgia Meloni soprattutto dopo il suo incontro con Mattarella di giovedì, segnalano un preciso posizionamento da parte del ministro della Giustizia, anche in virtù degli endorsement ricevuti, su tutti quelli di Antonio Tajani e Guido Crosetto. È probabilmente troppo presto per dire che la maggioranza si stia spaccando, ma di sicuro la cosiddetta “pax mattarelliana” sulla giustizia è tutta nelle sue mani: un’impuntatura sarebbe complicata da superare, tanto più se dovesse arrivare su una materia che, piaccia o meno, è parte del programma del governo. Insomma la questione della separazione delle carriere - che Nordio vorrebbe calendarizzare in maggioranza prima delle ferie estive anche se a Palazzo Chigi sostengono di non saperne ancora nulla - appare centrale, molto al di là delle polemiche che pure arrivano copiose dalle opposizioni e dall’Anm. Meloni di aprire la guerra con la magistratura non ha alcuna voglia e sarebbe anche incline ad accogliere il consiglio del Colle sugli emendamenti al ddl Nordio approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 15 giugno. Però non può non tener conto dei segnali fatti arrivare a mezzo stampa proprio dal titolare di via Arenula, che non lascia passare giorno senza ribadire le sue idee, con la conseguenza di scatenare reazioni inferocite e quindi di impedire l’auspicata (da Meloni) chiusura delle ostilità. Una riforma della giustizia come la vorrebbe fare Nordio - rivedendo la Costituzione - è un progetto a lungo termine complesso e pieno di insidie, perché aprirebbe un vero e proprio conflitto tra due poteri dello Stato come e più che ai tempi di Berlusconi.

Che l’atmosfera sia tesa si vede anche dal fatto che, nel giorno della sua incoronazione a segretario di Forza Italia, il di solito mite Antonio Tajani abbia deciso di rintuzzare sulla rimodulazione del concorso esterno in associazione mafiosa, materia che molti in maggioranza - da Mantovano a Salvini - ritengono sia meglio accantonare, anche perché in Europa una revisione sarebbe molto malvista e non pare il caso di aprire questo fronte in un momento già di per sé difficile sul Pnrr.

“Nordio dice una cosa dal punto di vista giuridico impeccabile - ha detto Tajani -. Non si può essere mezzi mafiosi, o sì è o non lo si è… Lui ha fatto l’esempio delle Brigate rosse, il fiancheggiatore è un brigatista, è lo stesso discorso. Decideremo tutti assieme come fare la riforma. Le proposte partono dal consiglio dei ministri, ne discuteremo in consiglio dei ministri”. A seguire, su Twitter, ci mette il carico anche Guido Crosetto, aggiungendo pure una punta di complottismo, pietanza di cui la base di FdI è ghiotta: “Il ministro Nordio ha tutta la mia solidarietà perché si trova stretto nella morsa tra chi vuole mantenere il potere di utilizzare la giustizia come uno strumento di lotta politica e chi ha paura di sfidare l’ingiustizia facendo una scelta Giusta, perché teme ritorsioni”.

Tutto ciò sta a significare che Nordio non è affatto isolato e che non lo si potrà mettere alla porta in quanto sgradito combina-guai: dovrà essere ascoltato, in un modo o nell’altro. Ne va del rapporto tra la premier e il Quirinale, quindi degli equilibri della stessa maggioranza, sempre in bilico tra i falchi che vorrebbero la sfida in campo aperto ai magistrati e le colombe che vedono bene i rischi di una mossa del genere.

Chi ha capito che il tasto della giustizia duole un bel po’ è Matteo Renzi, che prova ad affondare il colpo: “La riforma della giustizia serve oggi più che mai. In Commissione Giustizia al Senato combatterò per questo, sfidando il governo ad andare avanti. Vedremo se fanno sul serio”. Dal Partito democratico, invece, Elly Schlein se la prende con le proposte di revisione del concorso esterno. “Il governo è diviso sugli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata - ha detto - È irresponsabile mettere in discussione il reato di concorso esterno alle associazioni di stampo mafioso. Che segnale stanno dando?”.