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di Antonio D’Amore

Il Fatto Quotidiano, 15 marzo 2024

Mentre infuria la polemica e il caso diventa inevitabilmente anche una questione politica, sarà oggi l’autopsia il primo atto ufficiale dell’inchiesta sulla morte di Patrick Guarnieri, il 20enne suicidatosi mercoledì nel giorno del suo compleanno, impiccandosi all’inferriata della finestra del bagno della sua cella nel carcere di Castrogno, a Teramo. A muovere l’inchiesta non è solo l’interesse della Procura, ma anche la denuncia dei parenti del ragazzo, appartenente a una delle più antiche famiglie rom di Giulianova, che ha ventilato addirittura l’ipotesi di un pestaggio, circostanza sulla quale però allo stato attuale non c’è alcuna conferma, ma anche su questa ipotesi l’autopsia sarà determinante. Il giovane era entrato nel carcere teramano due giorni prima del suicidio, per una violazione degli obblighi di dimora.

Aveva un lungo curriculum giudiziario, ma soffriva anche di una serie di patologie, tra le quali una sordità quasi invalidante, e da tempo era seguito dall’equipe di neuropsichiatria della Asl teramana. Nel viaggio verso il carcere, il giorno dell’arresto, aveva accusato un malore, ma non era stato ritenuto così grave da richiedere un ricovero, così Patrick era andato in isolamento.

Una condizione, questa, che deve essergli sembrata insopportabile, anche alla luce dell’avvicinarsi di quel compleanno, che non avrebbe potuto festeggiare con gli amici e i parenti. Una solitudine amplificata anche dall’arresto della madre, alla quale era legatissimo, detenuta nello stesso carcere.

Quello di Patrick Guarnieri è il terzo suicidio in un anno a Castrogno, un carcere da tempo al centro di polemiche e di denunce sindacali, che ospita il 75% in più dei detenuti previsti, ma sorvegliati dal 25% in meno degli agenti di custodia necessari. Anche per questo il suicidio del giovane Patrick è molto più di un doloroso evento, è un tragico atto d’accusa su una realtà che nessuno potrà più ignorare.