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di Diana Pompetti

Il Centro, 3 aprile 2023

Il direttore: “Il sovraffollamento resta, ma non ha mai fermato i tanti progetti di rieducazione” Il funzionario va a dirigere l’istituto di Sulmona: “C’ero ai tempi della Miserere, donna eccezionale”. Stefano Liberatore è un padre che ha preso i giochi dei figli e li ha portati in carcere, si è improvvisato giardiniere e insieme ai detenuti ha piantato alberi e fiori, ha inseguito fondi sempre più esigui per progetti di rieducazione. Perché si può trovare la forza di cambiare le cose, giorno dopo giorno, anche tra il sovraffollamento endemico delle celle, il personale che manca, i finanziamenti inadeguati, la burocrazia che frena e tutte quelle difficoltà che rendono arduo, quando non impossibile, un percorso di rieducazione che per la Costituzione dovrebbe essere garantito a tutti.

Liberatore per 12 anni è stato il direttore del carcere teramano di Castrogno che ora lascia per dirigere quello di Sulmona, struttura in cui è già stato vice nei tempi della tragedia di Armida Miserere, storica direttrice che nel 2003 si tolse la vita. “Dodici anni fa arrivai a Teramo proprio da Sulmona”, racconta questo funzionario abruzzese di 62 anni che per 30 ha girato i penitenziari italiani con esperienze anche a Brescia, Cremona, L’Opera di Milano, “era un carcere difficile, gli interpelli andavano tutti deserti. Non è stato facile garantire sicurezza e rieducazione, ma io parto dal presupposto che prima di tutto bisogna garantire dignità ai detenuti. Sempre e comunque. E in questi anni abbiamo fatto di necessità virtù puntando a progetti di rieducazione, aprendo all’università con tanti detenuti che sono riusciti a laurearsi partendo da zero.

Ma nessuno è bravo da solo e per questo ringrazio tutti. Serve un lavoro di squadra: con il personale, con gli agenti, con tutti coloro che ogni giorno si confrontano con una realtà difficile come quella di un carcere”. Che resta un luogo dove il tempo è sospeso e spesso non esiste più, dove sconosciuti si ritrovano a condividere ore e spazio in balia del panico, del vuoto, della rabbia propria e altrui. L’aggravante del sovraffollamento, come succede a Teramo e in moltissimi penitenziari italiani, può solo cancellare ogni residuo di speranza. “La realtà carceraria è quella che è”, dice Liberatore, “i numeri non aiutano, ma bisogna sempre andare avanti cercando di fare il possibile per garantire dignità a chi è recluso perché nessuno dovrebbe mai sentire l’odore di un carcere”.

In dodici anni a Castrogno è nata la struttura per ospitare detenute con i figli, l’area esterna con i gazebo per i colloqui, le videochiamate al computer con i familiari, l’orto, i laboratori, la scuola, l’università, il teatro. Sempre inseguendo un solo obiettivo: evitare che i reclusi vengano trattati da esclusi. “L’ho imparato sul campo, me lo hanno insegnato i miei colleghi”, conclude, “a cominciare da Armida Miserere. Lei era la direttrice del carcere di Cremona quando giovane funzionario vincitore di concorso iniziai questo lavoro, era direttrice quando arrivai a Sulmona come vice. Una donna eccezionale con una grande capacità di ascolto degli altri, con una grande capacità di tradurre in concreto quel concetto di rieducazione sancito dalla Costituzione. Il suo modo di fare questo lavoro mi ha aiutato molto in questi anni. Tornare a Sulmona per me è un grande onore e un altro banco di prova. Ma anche questa volta l’obiettivo è lo stesso: la dignità dei detenuti prima di tutto”.