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di Marta Serafini

Corriere della Sera, 2 aprile 2023

Quando la terra ha tremato a Gaziantep, in Turchia, Teresa non ha pensato a sé. Ma a tutti i pazienti bloccati negli ospedali al di là del confine, in Siria. “Mi sono precipitata in strada, l’ho capito subito che era una catastrofe di proporzioni mai viste”. Colonna portante della missione di Medici Senza Frontiere in Turchia e Siria, coordinatrice e operatrice medico da 29 anni, Teresa Graceffa è minuta, piccola di statura. Ma diventa un gigante quando si tratta di combattere per i più deboli. Nata in provincia di Aragona 54 anni fa, come tanti siciliani sa bene quanto possa fare male la terra quando trema. “In pochi secondi ho realizzato che la nostra missione da umanitaria si sarebbe trasformata in un’operazione di emergenza. Al mattino eravamo già al lavoro. Come primo paziente, abbiamo assistito un bambino che era arrivato in ospedale ad Atme, vicino a Idlib, con il 40 per cento del corpo ustionato”.

Tutto intorno, sia in Siria che in Turchia, in quelle ore è il caos. Sono morti in migliaia. Le strade sono bloccate, non c’è benzina e non c’è cibo. “Prima del terremoto casi così gravi, pur essendo il nostro l’unico centro per ustionati in Siria, li trasferivamo in Turchia. Ma ora, anche da questa parte del confine, molti centri non funzionano più. Così abbiamo salvato quel bambino a distanza, dando istruzioni al nostro staff locale in remoto. Ma è solo uno. Per tanti non siamo riusciti a fare niente”. Teresa non entra in Siria da dieci anni. Anche allo staff internazionale di Medici Senza Frontiere vengono dati i permessi con il contagocce. La politica e le geopolitica non hanno come priorità l’assistenza umanitaria, ognuno pensa per sé e gli egoismi dei dittatori non fanno altro che peggiorare la qualità di vite già messe in pericolo da 12 anni di guerra.

La ong di Teresa è una delle poche a operare in quella regione così tormentata, dove in più di tre milioni vivono in trappola tra i raid del regime di Damasco e i ricatti delle milizie jihadiste filo turche che controllano l’aerea. “Mi sono sempre battuta per questa gente. A tutti, compresi i suoi superiori, Teresa non fa altro che ricordalo. “Vi sembra che stiamo facendo abbastanza per loro?”. E grazie a lei, tanti siriani sono riusciti a sopravvivere e avere una seconda opportunità. Ma ora, da quando il terremoto ha portato altra morte e macerie, in Siria le cose vanno ancora peggio. “Gli sfollati vivono tutti nelle tende, i farmaci che mandiamo non sono abbastanza. E quello che mi preoccupa di più - e che dovrebbe essere la priorità - è la salute mentale di quelle persone traumatizzate”. Serve tutto: medicine, dottori, generi di prima necessità, strutture dove curare per primi i bambini e le donne: “Ci vorrebbero - aggiunge - anche degli elicotteri per trasferire i pazienti più gravi oltre confine e maggiore accesso per il personale internazionale specializzato”.

Teresa sa bene cosa significhi vedersi rivolgere contro un’arma o trovarsi in situazioni di pericolo. “Quando ero in Eritrea con delle volontarie italiane e locali ci hanno sparato. Abbiamo percorso chilometri, ferite. Io avevo una pallottola nella gamba. Siamo pure rimaste bloccate nel Paese per qualche mese ed è dovuto intervenire il governo italiano per evacuarci”. Tornata a casa, Teresa si prende una “pausa”. Lavora come infermiera a Lugo di Ravenna. Ma non ce la fa a stare ferma. Deve andare dove la terra brucia, trema e uccide. “All’epoca avevo 40 anni. Niente mi tratteneva a casa. Così mi sono rivolta a Medici Senza Frontiere”. La prima meta, l’Uganda. “Una bella missione, seguivo un progetto per l’Hiv e la tubercolosi”. Poi altre urgenze in giro per il mondo, compresa Parigi dove lavora in un centro vaccinale durante l’emergenza Covid. Fino alla “sua” Siria. Gaziantep ormai è casa. “Nelle ore successive al terremoto la nostra guesthouse è diventata un rifugio, abbiamo aperto le porte a tutti”. Perché se hai un problema è Teresa che chiami. Lei che aiuta sempre tutti anche mentre intorno il mondo sta crollando.