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di Stefano Folli

La Repubblica, 1 dicembre 2023

Quanto è forte la magistratura, nelle sue correnti più agguerrite, per reggere una ripresa dello scontro con la politica, o meglio con il destra-centro oggi al governo? E quanto è determinato quest’ultimo, specie nella sua massima espressione, la premier Meloni, per accettare di aprire le ostilità in questo preciso momento? A giudicare dai fatti degli ultimi giorni, anzi delle ultime ore, più che di una guerra si dovrebbe parlare di una guerriglia: la magistratura compie azioni di disturbo e lancia segnali, come il rinvio a giudizio del sottosegretario Delmastro, abbastanza insidiosi ma non tanto da far precipitare la situazione.

E il governo, stavolta nella persona del ministro Guardasigilli, Nordio, e non di Crosetto, parla di una Costituzione che non può essere eterna nella sua forma attuale e quindi è emendabile. Lo dice al Consiglio Superiore della magistratura, rivolgendosi direttamente al presidente Mattarella, presente ma silenzioso. Eppure appare chiaro che il ministro si guarda bene dall’affondare i colpi, evita con cura di gettare benzina sul fuoco. La tesi della congiura anti-governo, adombrata giorni fa dal ministro della Difesa, e peraltro da lui stesso già parecchio corretta, non è stata tenuta in alcun conto da Nordio. Se l’avesse in qualche misura raccolta e riproposta nella sede del Csm, non parleremmo più di guerriglia, bensì di guerra aperta. Invece niente di tutto questo.

Il richiamo alle riforme costituzionali è generico, il tono è adatto a un convegno di studi sull’attualità della Carta costituzionale più che ad un intervento previsto come molto denso sul piano politico. Tanto più che il presidente della Repubblica in passato aveva usato parole dure, sia verso certe pratiche del Csm, sia verso l’attività di magistrati che agiscono “in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla magistratura”. Se ne deduce che introdurre alcune riforme per una giustizia più efficiente non è una bizzarria; e del resto abbiamo avuto, sia pure con grande fatica, la legge Cartabia, considerata da qualcuno un attacco alla magistratura e da altri un rimedio troppo blando.

Ora Nordio parla di Costituzione da rinnovare eppure sembra quasi immobile sul punto cruciale della separazione delle carriere dei magistrati. Mesi fa ne parlava come di un’assoluta priorità, poi ha rinviato tutto a dopo la riforma del “premierato”, da ultimo è tornato a proporre l’innovazione, ma in un quadro di “leale collaborazione” con le toghe. E soprattutto “senza rendere il pubblico ministero soggetto al potere politico”: il che sembra impossibile a un certo numero di giuristi di primo piano. Cosa sta succedendo? Si direbbe che la presidente del Consiglio non abbia alcun desiderio di una guerra con i magistrati. La guerriglia le basta e, anzi, se potesse la eviterebbe volentieri. Al suo ministro della Giustizia ha raccomandato prudenza in dosi talmente massicce che il percorso della riforma si è bloccato.

Tutto questo dipende dal caso Delmastro? Probabilmente no, o almeno non solo, tuttavia il segnale è arrivato e sembra strano che nessuno l’avesse messo nel conto. Di fatto la politica si dimostra ancora una volta troppo debole per procedere a una riforma di tale portata. Quanto alla magistratura, si chiude a riccio perché teme (a torto, come si è visto) l’offensiva di una destra non più berlusconiana. Il fondatore di Forza Italia rinunciò di fatto a una riforma radicale della giustizia illudendosi di avere in cambio una sorta di salvacondotto per sé e le sue aziende. Ne ricavò invece il cosiddetto assedio giudiziario da parte di una magistratura che si sentiva senza dubbio investita di una missione, e quindi era più forte rispetto a quella di oggi.