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di Simona Lorenzetti

Corriere Torino, 17 novembre 2023

Il dolore dei genitori: lottiamo perché non capiti ad altri detenuti. La psichiatra del Lorusso e Cutugno indagata per omicidio colposo. “La storia di mio figlio è la storia di un abbandono. Era un ragazzo fragile che andava protetto e aiutato”. C’è amarezza nelle parole di Carlo Gaffoglio e Monica Fantini, i genitori di Alessandro: il 24enne che a Ferragosto dello scorso anno si è suicidato in carcere con una busta di nylon. Per la sua morte, la Procura di Torino ha indagato per omicidio colposo la psichiatra dell’istituto penitenziario Lorusso e Cutugno.

“La storia di mio figlio è la storia di un abbandono. Era un ragazzo fragile che andava protetto e aiutato”.

C’è amarezza nelle parole di Carlo Gaffoglio e Monica Fantini, i genitori di Alessandro: il 24enne che a Ferragosto dello scorso anno si è suicidato in carcere con una busta di nylon. Per la sua morte, la Procura di Torino ha indagato per omicidio colposo la psichiatra dell’istituto penitenziario Lorusso e Cutugno. Secondo i magistrati, la professionista avrebbe sottovalutato le condizioni cliniche del ragazzo e avrebbe disposto una sorveglianza “lieve” nonostante 5 giorni prima Alessandro avesse già tentato il suicidio (sempre con un sacchetto di plastica). Non solo, disattendo il protocollo, non avrebbe integrato la terapia farmacologica. Una morte che forse poteva essere evitata e che ora spinge i genitori a mostrare pubblicamente il proprio dolore e desiderio di giustizia, che per loro non significa “vendetta” nei confronti della psichiatra ma una ridefinizione delle tutele in carcere per quei detenuti come Alessandro: fragili e bisognosi di cure.

Papà e mamma ancora adesso non riescono a trovare pace per non essere stati avvisati del tentativo di suicidio del figlio (arrestato per aver messo a segno due rapine). “Avrebbero dovuto dircelo e aiutarci a metterci in contatto con lui per tranquillizzarlo - spiegano -. Eravamo coscienti che fosse in una situazione di completa disperazione. Sarebbe stato importantissimo per noi vederlo quanto prima. Ogni giorno era importante. La prima data possibile era il 16 agosto, ma è stato troppo tardi. Lui si è suicidato il giorno prima. E noi lo abbiamo rivisto in una bara”. Alla luce delle indagini, i genitori (assistiti dalle avvocatesse Laura Spadaro e Maria Rosaria Scicchitano) evidenziano che “gli errori sono molti di più di quelli che vengono rimproverati alla psichiatra. A sbagliare è stato il sistema. Vorremmo che questa indagine fosse utile.

Il carcere così com’è strutturato non ha senso”. “Chiunque capiti lì, nelle stesse condizioni di nostro figlio - insistono - ha tutte le probabilità di fare la fine di Alessandro. Non vogliamo vendetta, ma che si possa fare luce su un problema effettivo, reale e molto importante. Se c’è la volontà di avere un po’ più di umanità e di comprendere le lacune del carcere, si può ripartire nel verso giusto”. Al dolore si aggiungono i tanti interrogativi che ancora oggi non hanno risposta. “Se per venire fuori da una depressione ci vogliono anni, per un tentato suicidio bastano due o tre giorni? Eppure la psichiatra del carcere aveva parlato anche con la dottoressa che l’aveva in cura. Come è possibile che tutto ciò non sia stato tenuto in considerazione?” si domanda la madre, che non comprende come per il figlio sia stata disposta una sorveglianza “lieve” e per giunta gli sia stata consegnata una busta di plastica.

Alessandro è stato arrestato il 2 agosto, una settimana più tardi ha provato a togliersi la vita ed è stato trasferito in regime di sorveglianza “alta” al “sestantino”, il reparto per i detenuti con problemi psichici. Poi il ritorno nella solitudine della sua cella, con una sorveglianza “lieve”. Questo regime avrebbe innescato una serie di leggerezze operative, come la consegna di abiti ed effetti personali in una busta di plastica rimasta poi nella disponibilità del ragazzo. La notte in cui si è suicidato, la polizia penitenziaria lo ha visto alzarsi dal letto, andare in bagno, fumare una sigaretta e poi coricarsi coprendosi la testa con il lenzuolo. “Dormiva pacificamente”, scriveranno gli agenti nella relazione di servizio. Ma il giovane non stava dormendo, stava morendo. “Alessandro era un ragazzo luminoso e dolcissimo che aveva passato un inferno tremendo - ricorda Monica Fantini -. L’abbiamo adottato che aveva otto anni e mezzo. Nell’adolescenza ha sviluppato un problema psichiatrico, ma ha cercato con tutte le forze di curarsi, studiare, lavorare. Non è riuscito a elaborare vicende troppo dolorose e traumatiche dell’infanzia ed è caduto nella spirale del crack. Non meritava di essere abbandonato”.