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di Federica Cravero

La Repubblica, 2 novembre 2022

A Torino 50 nuovi reclusi ogni mese: risultato, sovraffollamento e spese inutili. “Spesso sono solo persone che hanno rubato un pezzo di formaggio o scatolette di tonno aperte e consumate ancora dentro al supermercato” dice Antonio Genovese, avvocato referente dell’Osservatorio carceri.

C’è un dato che rende bene l’idea di come viene affrontata la delinquenza in città e sta chiuso in un numero: 77%. È la percentuale di coloro che dopo l’arresto restano in carcere uno o due giorni e poi tornano a piede libero. Lo dimostra uno studio condotto dalla polizia penitenziaria del Lorusso e Cutugno assieme all’ufficio del Garante comunale dei detenuti, che ha monitorato per quattro mesi, da inizio marzo a fine maggio di quest’anno. l’ingresso dei nuovi reclusi nel carcere di Torino.

Su 144 nuove matricole, appena 33 sono rimaste in carcere in attesa del processo o comunque per un periodo di tempo superiore al paio di giorni, che è il periodo di tempo in cui si affronta la convalida dell’arresto o il processo per direttissima. E sono il 23%.

Gli altri 111 detenuti, invece, sono entrati in carcere e sono subito usciti: 4 scarcerati dal pm entro 24 ore, 6 andati ai domiciliari entro 3 giorni e 101 scarcerati dopo 1 o 2 giorni dopo che è stata definita la loro posizione giuridica, per esempio allentando la misura cautelare e chiedendo l’obbligo di firma. Il carcere dunque è solo una breve parentesi, visto che tutti questi affronteranno il processo a piede libero.

“Il codice, anche quando l’arresto è obbligatorio, consente al pm di scarcerare immediatamente se ritiene di non chiedere una misura coercitiva - mette in chiaro Alberto De Sanctis, avvocato a capo della Camera penale del Piemonte Occidentale - Inoltre, tutte le misure alternative sarebbero da incentivare perché responsabilizzano il condannato. Al contrario il carcere è criminogeno. Un passaggio anche breve in cella aumenta le possibilità di trasformare un delinquente occasionale in un delinquente abituale perché la detenzione lo allontana dalla società civile e lo stigmatizza come un criminale”.

I dati raccolti al Lorusso e Cutugno colpiscono soprattutto alla luce di quanto avvenuto venerdì in una cella dei nuovi giunti, dove un detenuto del Gambia si è impiccato a meno di 48 ore dal suo ingresso in carcere e mentre era in attesa della decisione del giudice, che avrebbe potuto scarcerarlo per aver portato via delle cuffiette bluetooth da un negozio, valore 24 euro. E le statistiche mostrano che casi come quello, pur con esiti meno tragici, sono all’ordine del giorno per reati come il furto, la resistenza o il piccolo spaccio.

La tendenza non è incoraggiante dal momento che in pochi anni gli arresti sono passati dai 2.466 del 2014 ai 3.538 del 2019 (+43,5%) e sono scesi di poco, a 3.285, nel 2020, quando c’era il lockdown. “Negli ultimi anni per la verità c’è stata una lieve contrazione degli arresti - spiega il questore di Torino, Vincenzo Ciarambino - Il fatto è che quando si è di fronte a un reato, noi interveniamo ed è con la magistratura che si conviene sull’opportunità della custodia in carcere”.

In quella fase, tuttavia, il carcere potrebbe essere evitato se si portassero gli arrestati nelle camere di sicurezza che ci sono nelle caserme e nei commissariati. Ma sono poche, a volte inutilizzabili o già piene. E così le forze dell’ordine finiscono per portare l’arrestato al Lorusso e Cutugno.

E questo ha ripercussioni sul sovraffollamento cronico e anche sui costi poiché si calcola che le prime due giornate in cella costino alla collettività 350 euro per ogni detenuto tra il lavoro che comporta l’ingresso in cella (immatricolazione, perquisizione, ritiro e catalogazione degli oggetti personali, impronte digitali, visite mediche e colloqui) e la fornitura del kit di primo ingresso e della dotazione personale di piatti, posate, spazzolino, dentifricio, sapone, bicchiere e pettine.

Tutto per persone che “hanno rubato un pezzo di formaggio o delle scatolette di tonno, aperte e consumate ancora dentro al supermercato - dice Antonio Genovese, avvocato referente dell’Osservatorio carceri - Non sono esempi fatti a caso, ma situazioni che si sono davvero verificate e che non dovrebbero esister”.

Della questione si sta interessando anche l’amministrazione comunale. “Le storie di detenuti che restano in cella per un paio di giorni appena sono la dimostrazione che si è persa ogni possibilità di intervenire con altri mezzi per il loro recupero - spiega la garante Monica Gallo - A volte prima di arrivare alle manette si dovrebbe pensare ad altre strade”.