di Irene Famà e Giuseppe Legato
La Stampa, 25 maggio 2023
Le accuse si riferiscono al suicidio del migrante Moussa che nel maggio 2021 si impiccò all’interno del centro. Picchiato brutalmente a Ventimiglia da tre manovali e poi finito al Cpr di Torino perché senza documenti. Preso a botte anche lì, nel Centro, da altri trattenuti, Moussa Balde, 23 anni, della Nuova Guinea, la notte tra il 22 e il 23 maggio 2021 si è impiccato nella sua stanza. Era in isolamento, nei cosiddetti locali dell’Ospedaletto. Spazi che c’è chi ha paragonato alle “vecchie sezioni di uno zoo”. Dove qualcuno ci ha passato anche duecento giorni. La morte di Moussa ha acceso un faro su quello che era il Centro di permanenza per il rimpatrio più grande del Nord d’Italia. Ora chiuso, temporaneamente, dopo le rivolte dello scorso febbraio.
La lunga inchiesta della procura di Torino si chiude così: sei indagati, cinque agenti di polizia e un medico. Accusati a vario titolo di sequestro di persona e falso. E per la morte di Moussa di omicidio colposo. Oltre sedicimila pagine di verbali, documentazione, esposti che raccontano il Cpr di Torino. A iniziare dall’Ospedaletto, settore destinato all’isolamento sanitario, che, secondo i pm, sarebbe stato utilizzato “illegittimamente” per “ragioni di ordine e sicurezza pubblica”, per “periodi decisamente sproporzionati rispetto alle esigenze”. Giorni, settimane, mesi di “una limitazione della libertà di movimento già di per sé illegale”.
Quattordici i casi di sequestro di persona contestati. Abdarrahman è rimasto in quei locali i per centosessantadue giorni. Anwer per centosei. Chi decideva lo spostamento all’Ospedaletto? Chi la permanenza? Questioni affrontate durante gli interrogatori a Palazzo di Giustizia. Sotto accusa, con contestazioni differenti, sono finiti Michele Sole, dirigente dell’ufficio immigrazione della Questura di Torino e responsabile del servizio di vigilanza interna del Cpr, e gli agenti Francesco Gigante e Giuseppe Gentile. E ancora. Gli ispettori Antonino Di Benedetto e Fabio Fierro e il responsabile sanitario del Cpr, Fulvio Pitanti.
Al centro dell’inchiesta l’intera struttura. Un “carcere - non carcere” dove finiscono gli stranieri trovati senza permesso di soggiorno che, così dice la legge, devono essere riportati nei loro Paesi d’origine. Il Cpr di Torino da tanti è stato definito “disumano”. E la consulenza affidata dalla procura al dottor Umberto Fiandra sottolinea una lunga serie di problemi. “L’ambulatorio, i locali attigui e l’Ospedaletto non sono idonei”, si legge nella perizia inserita negli atti d’indagine. I carabinieri del Nas, durante un sopralluogo, hanno trovato “farmaci scaduti, comprese le provette per la raccolta di campioni biologici”.
Assenti, poi, tutta una serie di dotazioni previste da regolamento ministeriale: “I mulstix per l’esame delle urine, i test per il controllo salivare dell’Hiv, i test di gravidanza, il carrello per le emergenze”. E l’Ospedaletto, “dodici unità abitative, concepite per isolare le persone, prive di finestre. All’interno non vi sono porte che isolino i servizi igienici dal resto”.
Il dottor Fiandra riflette: “Il confinamento all’interno di una struttura senza finestre, arredata in modo spartano con un cortile completamente delimitato da muri e sbarre anche sul soffitto, può influire negativamente sullo stato psicologico di chi vi è recluso”. Eppure gli incontri con gli psicologi erano sporadici. E nel Centro “non c’è un documento o un protocollo per il rischio di prevenzione del suicidio”. E il suicidio, al Centro di corso Brunelleschi a Torino, l’hanno tentato in diversi.