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di Mario Di Vito

Il Manifesto, 13 agosto 2023

È dall’inizio di agosto che il carcere di Torino è sprovvisto di direttore sanitario. Alessandro Franchello ha rassegnato le dimissioni appena tre mesi dopo la sua nomina, al culmine di una violenta polemica con i sindacati degli agenti penitenziari dopo l’aggressione di un secondino da parte di un detenuto, a metà luglio. Non un caso isolato, peraltro, con lui anche due dentisti hanno dato forfait e altri medici hanno chiesto il trasferimento al Ferrante Aporti, la prigione minorile.

Che la sorveglianza dei detenuti fosse complicata, forse addirittura proibitiva, dunque, non era un mistero per nessuno e la questione stava anche interessando la Regione Piemonte, che aveva promesso ai sindacati e alla direzione dell’istituto che avrebbe discusso la cosa dopo l’estate, a settembre. Non abbastanza presto, in tutta evidenza, e ora i suicidi di Susan John e Azzurra Campari tornano ad accendere i riflettori sulla prigione di Torino.

La situazione del Lorusso e Cutugno, ai più noto come “Le Vallette”, è infatti drammatica ormai da anni, come testimoniano i report sempre più allarmati delle varie associazioni che si occupano delle condizioni carcerarie, oltre a una lunga serie di avvicendamenti, scandali e polemiche ricorrenti, come se ci fosse una specie di maledizione che fa del carcere di Torino uno dei più problematici d’Italia.

La nuova direttrice, Elena Lombardi Vallauri, si è insediata appena lo scorso maggio, dopo essere già stata vicedirettrice a Torino qualche anno fa, e si è subito trovata a dover combattere una battaglia complicatissima: il problema non è solo il sovraffollamento (1.400 ospiti su una capienza di mille), ma anche la fatiscenza della struttura. Poi ci sono alcuni dati eloquenti: nel corso del 2022 alle Vallette ci sono stati 3.761 eventi critici, di cui 4 suicidi, 35 tentativi e 143 atti di autolesionismo. A tutto questo vanno aggiunti 329 richiami ai sensi del diritto carcerario, con tanto di denuncia al Consiglio d’Europa e trasferimento di una discreta quantità di detenuti altrove per alleviare il sovraffollamento. Nel resto della regione (in Piemonte ci sono 13 carceri su 189 totali in Italia) la situazione sembra paradossalmente molto migliore: la capienza totale è di 3.999 detenuti e l’ultimo censimento, arrivato a fine luglio, conta 4.036 reclusi.

La sezione più complicata, a Torino, è sicuramente quella del Sestante, dove finiscono i “nuovi giunti”: un padiglione fatiscente dove vivono stipati i detenuti in attesa di essere trasferiti nelle celle della sezione penale. Fu il deputato di Italia Viva Ivan Scalfarotto a sollevare la questione dopo una visita del novembre scorso: “Sembra di stare in una kasbah, si ha l’impressione di un disordine assoluto, c’erano urla da rabbrividire”.

Non solo, il 4 luglio, a due anni dal rinvio a giudizio e un anno dalla richiesta delle parti civili di anticipare la data della prima udienza per la possibile prescrizione dei reati, al tribunale di Torino è cominciato un complicatissimo processo a carico di 22 agenti di polizia penitenziaria delle Vallette accusati di aver torturato i detenuti tra il 2017 e il 2019.

Adesso l’ultima vicenda riguarda proprio il personale medico. Anche qui, i problemi sono un fatto noto. Ad aprile, nell’illustrare la sua relazione annuale, la garante dei detenuti della città di Torino Monica Gallo, aveva parlato in maniera molto chiara di problemi sul versante sanitario, dalla “grave assenza di dialogo con gli operatori medici” ai tempi di intervento del 118: la media torinese è di 8 minuti per il territorio urbano e 20 per quello extraurbano. In carcere il minutaggio è superiore al doppio.

L’aggressione a pugni subita da uno dei dottori ha comunque scatenato le ire del sindacato Osapp, che ha inviato una durissima lettera al prefetto di Torino e alla direzione del carcere denunciando la fuga del personale dai turni nelle sezioni. E così, dopo l’arrivo di una serie di disposizioni che demandano agli agenti penitenziari il controllo dei detenuti psichiatrici, l’Osapp è esploso e ha deciso di dare battaglia: “La polizia non può fare da body guard ai singoli detenuti 24 ore al giorno”. E giù lettere, comunicati, appelli, proteste.

L’argomento andrebbe girato prima alla Regione e poi al ministero della Giustizia, soprattutto perché la nuova direzione ha appena tre mesi di vita e il contesto generale in cui si è trovata ad operare è, per usare un eufemismo, non semplicissimo. Ad ogni modo che i direttori nel carcere di Torino durino poco non è un’opinione ma un dato di cronaca: sei mesi, un anno, qualcuno addirittura due, poi arrivano sempre le dimissioni o il trasferimento. Segno che lì dentro tutto è difficile, ai limiti del sopportabile.

All’inizio di giugno una delegazione di Magistratura Democratica è andata in visita alle Vallette e il giudizio, all’uscita, è stato lapidario: “Il carcere di Torino non permette la rieducazione”. A volte non permette neppure di vivere.