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di Simona Lorenzetti

Corriere di Torino, 27 dicembre 2023

Violenze in carcere a Torino, il Gup: “L’ex direttore Minervini non denunciò per mantenere gli equilibri con gli agenti”. Il dirigente segnalò i presunti abusi quando le “indagini erano iniziate”. Un poliziotto condannato per abuso di potere e non per torture: “Non emerge una forma di sadica soddisfazione”.

Domenico Minervini, ex direttore del carcere Lorusso e Cutugno, era “a conoscenza di una situazione critica e grave che andava attenzionata e monitorata, in particolare con riferimento al padiglione C” dedicato ai sex offender. Ma ha “preferito non interessare l’autorità giudiziaria, omettendo di denunciare quanto via via di sua conoscenza” su presunte violenze subite dai detenuti.

Una scelta “consapevole” dettata non dalla volontà di aiutare qualcuno a eludere le indagini, ma dal “timore” di dover dar conto di una decisione “impopolare” che poteva “alterare i rapporti di equilibrio con la polizia penitenziaria”. È quanto scrive il giudice Ersilia Palmieri nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato per omessa denuncia - una multa da 350 euro - Minervini (difeso dall’avvocato Michela Malerba), assolvendolo dalla contestazione di favoreggiamento.

Il procedimento riguardava anche il comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza (difeso dagli avvocati Antonio Genovese e Claudio Strata) e un agente in servizio al padiglione C, Alessandro Apostolico (assistito dall’avvocato Alberto Pantosti). Alberotanza, che rispondeva di favoreggiamento, è stato assolto perché il “fatto non sussiste”: “Non sono emersi elementi specifici e inequivoci che possano far ritenere che egli si fosse attivamente adoperato per favorire qualcuno dei suoi sottoposti”.

Apostolico, accusato di tortura per aver vessato alcuni detenuti, è stato condannato a 9 mesi (ma per abuso di potere): “Non emerge in maniera univoca che dietro al comportamento dell’agente via sia stata una forma di sadica soddisfazione per la propria capacità di generare sofferenza, quanto piuttosto l’evidente incapacità di valutare i limiti della propria funzione, verosimilmente anche in ragione di una scarsa preparazione a trattare con particolari categorie di detenuti”.

Nelle 120 pagine il giudice ripercorre le segnalazioni “via via più gravi” riportate a Minervini, tra il 2017 e il 2019, dalla garante dei detenuti Monica Gallo (che con le sue denunce diede il via all’inchiesta) e da altri “soggetti qualificati” che lavorano in carcere, in cui si faceva riferimento alle vessazioni che subivano gli ospiti - in particolare quelli del blocco C - da parte di un gruppo di agenti. Segnalazioni che “sono state sottovalutate”, scrive il gup. Il quale poi mette in luce il successivo cambio di passo di Minervini: “Solo ad un certo punto, a indagini avviate, e comunque quando ormai non poteva fare diversamente, ha iniziato a tenere un comportamento diverso” denunciando in Procura i presunti abusi.

Dal canto suo, l’ex direttore non ha negato nella sostanza la conoscenza di alcuni episodi, ma “ha cercato di dargli una veste diversa, puntualizzando che si trattava di segnalazioni generiche”. Ma secondo il giudice, “per la quantità e qualità dei casi segnalati, per la fonte da cui promanavano, per la persistenza nel tempo di criticità anomale legate ad atteggiamenti prevaricatori e aggressivi tenuti nei confronti dei detenuti, per la specifica casistica (numero di sinistri accidentali nel padiglione C), per l’inefficacia di altri strumenti messi in campo (quali le procedure di raffreddamento dei conflitti), non sembra potesse realmente residuare alcuno spazio di discrezionalità”. Insomma, l’ex direttore avrebbe dovuto denunciare tutto alla Procura.