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di Irene Famà

La Stampa, 9 novembre 2022

Materassi in fiamme e muri sfondati: 24 ore di proteste nel carcere. Materassi in fiamme, arredi divelti, muri sfondati, estintori svuotati nei corridoi e nelle aule dei laboratori. La rabbia dei ragazzi del Ferrante Aporti è esplosa nel tardo pomeriggio dell’altro ieri. Inarrestabile. Difficile da gestire, come sono complesse da governare le ire, i disagi, le dipendenze degli adolescenti. E le difficoltà aumentano se questi abusano di sostanze stupefacenti, hanno sempre vissuto per strada, randagi in giro per il mondo, lontani da una famiglia lasciata chissà dove per cercare fortuna.

Le tensioni, nel carcere minorile di Torino, dove i detenuti sono 46 e la maggior parte non ha ancora compiuto sedici anni, covano da tempo. Alcuni disordini erano avvenuti la notte di Halloween. L’altro giorno la rabbia è esplosa, travolgendo e distruggendo la quarta sezione del plesso.

Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in tenuta antisommossa. E “non è cosa di routine”, assicura chi lavora lì dentro da molti anni. Tre agenti della polizia penitenziaria sono rimasti feriti, tra cui la comandante del Corpo. Uno è stato colpito al volto con un bastone, un altro con una macchinetta artigianale per fare i tatuaggi. L’equipe del 118 ha soccorso un adolescente che partecipato alla rivolta: ha avuto una crisi comportamentale ed è stato sottoposto a una visita psichiatrica, dopo il ricoverato all’ospedale Regina Margherita. Dagli accertamenti è emerso che di anni ne ha tredici. Non è imputabile: in carcere non ci sarebbe dovuto nemmeno entrare.

Due adolescenti, ritenuti tra i leader della rivolta, sono stati trasferiti uno al penitenziario di Bari, l’altro a quello di Catania. Cos’ha scatenato quella furia

“Mancavano le sigarette”, spiega qualcuno. “Un gruppo disturbava e un altro non riusciva a dormire”, suggerisce qualcun altro. Nei giorni scorsi, al Ferrante Aporti sono arrivati dal milanese alcuni detenuti giovanissimi. Tutti minori non accompagnati, accusati di rapina, furto, rissa, spaccio. Così gli equilibri già molto precari del carcere minorile sono cambiati.

Basta poco a scatenare i tumulti e a mettere in ginocchio l’intero istituto, è sufficiente che due o tre persone incitino gli altri. Di certo c’è che quel gruppo di nuovi arrivati, dietro le sbarre non ci vuole stare. È vero, le pareti sono colorate, gli agenti della polizia penitenziaria non indossano le divise, le giornate sono scandite da lezioni e attività: ma il Ferrante Aporti resta pur sempre un carcere. E così, nel giorno in cui era in visita il garante nazionale dei detenuti, si è scatenata una rivolta. Contro l’ordine costituito? Contro la polizia?

Nulla di tutto questo. Gli incendi, i muri sfondati, le pietre lanciate in direzione di chicchessia rappresentano disagio, rabbia, abuso di sostanze, violenza imparata in strada. “È l’unica casa che abbiamo”, dicono i ragazzi.

La tensione, i sindacati di polizia penitenziaria Osapp, Uil Pa, Sinappe, Fns Cisl, Fsa Cnpp, Cgil Fp l’avevano già segnalata nelle scorse settimane tramite comunicati stampa. “La situazione è drammatica”, avevano scritto. “Il personale è esiguo e abbandonato a se stesso”.

Ci sono le segnalazioni di chi lavora in carcere. E la sofferenza di chi è dentro per scontare una pena o su misura cautelare. Uno tra tutti: un recluso che nei giorni scorsi cercava una corda per impiccarsi. Dietro le sbarre del minorile ci sono fragilità violente: necessitano cure, assistenza, regole. Se il sistema non se ne cura? Esplode la rabbia.