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torinoggi.it, 5 giugno 2023

Una maglietta, poi un’altra. E ancora una polo, una felpa. Sono circa 300, a volte 400 i capi di abbigliamento che il laboratorio di serigrafia del carcere di Torino riesce a stampare ogni giorno. A prestare lavoro quei detenuti che escono dalla cella e, tra una mansione e l’altra, costruiscono oggi importanti pezzi di futuro.

Tra loro c’è Abdelkader, da due settimane in formazione per imparare a fare questo lavoro. “Sto imparando un mestiere, prima non avevo mai fatto questo tipo di lavoro”. “Lavorare per me significa imparare qualcosa, essere utile. Sono preoccupato per quando uscirò: qui lavoro, ma un domani? Per noi lavorare significa riscatto” afferma mentre stampa magliette.

A coordinare l’attività lavorativa è Gian Luca Boggia, presidente cooperativa sociale Extraliberi: “La cooperativa è attiva dal 2007: nel padiglione arcobaleno (quello dedicato alla custodia attenuata) abbiamo un laboratorio di stampa serigrafica e digitale, personalizziamo capi di abbigliamento per clienti privati”.

Ma perché una cooperativa dovrebbe prestare lavoro all’interno di un carcere? “Perché la Costituzione di questo Paese ci ricorda che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e il lavoro è uno strumento per costruire un percorso differente rispetto a quello che li ha portati in carcere”. E l’impegno della cooperativa non si ferma alle attività svolte in carcere: nei laboratori “fuori” infatti lavorano oggi ex detenuti che, dopo aver imparato un mestiere dietro le sbarre, sono riusciti a ricrearsi una vita fuori.

“Questo Paese - racconta Boggia - ha un problema legato alla recidiva, alla percentuale di persone che ricadono nel reato: spesso il carcere diventa un sistema di porte girevoli. I numeri ci dicono che chi lavora o svolge attività all’interno del carcere è più difficile che ricada. Difficilmente chi lavora ritorna a commettere errori”.

E in queste ore di lavoro all’interno della casa circondariale Lorusso e Cutugno, anche i lavoratori delle cooperative imparano qualcosa dai detenuti: “Ci insegnano che le persone che sono qui non sempre sono ‘brutti, sporchi e cattivi’. Questo è un luogo comune. Come nelle cantine, che sebbene siano considerate buie, si trovano oggetti di valore. Anche qui troviamo valori positivi, voglia di lavorare e di riscatto”.