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di Massimiliano Nerozzi

Corriere di Torino, 5 novembre 2023

I dati del tribunale sui procedimenti collegiali. Il numero dei processi collegiali per reati contro le fasce deboli - dentro i quali ci sono quelli del “codice rosso” - sono passati dal 31,71 per cento sul totale del 2019, al 46,94 per cento del 2022, superando i generici. Emerge dai dati del tribunale. L’impennata dei reati contro le fasce deboli - dentro ci sono quelli da “codice rosso” - è dimostrata dal numero dei processi collegiali arrivati nelle aule del tribunale (dal gup, alla cui udienza si riferisce l’anno della statistica): erano il 31,71 per cento sul totale nel 2019, contro il 46,94 per cento del 2022. Per non parlare del 47,92 per cento dell’anno precedente. Nettamente superiore alla quota dei processi riguardanti reati generici, fermi al 31,12 per cento (nel 2022) e al 23,96 per cento (nel 2021).

La sensazione - di un aumento delle denunce, o comunque dei reati da “Codice rosso” - s’è fatta percezione, statistica anche. La crescita è del resto evidente nell’elaborazione dei numeri del tribunale, che considera i processi collegiali arrivati dall’udienza preliminare tra il 2018 e il 2022: il 36,18 per cento hanno per oggetto i reati contro le fasce deboli, contro il 34,52 per cento dei procedimenti che riguardano quelli generici. Dietro l’incremento dei dibattimenti davanti al collegiale, c’è pure qualche (discutibile) scelta legislativa: su tutte, quella che ha modificato la competenza - dal monocratico al collegiale, appunto - dei maltrattamenti in famiglia, nel caso del secondo comma dell’articolo 572: poiché capita molto spesso che questi comportamenti sia avvenuti davanti ai figli. Logica considerazione di un magistrato: “Prima, tre giudici celebravano tre processi, adesso ce ne vogliono tre per farne uno”.

Quella che sta ormai diventando un’emergenza sociale impegna ovviamente la Procura, che ai reati contro le fasce deboli dedica un pool di dieci pubblici ministeri, oltre all’aggiunto, Cesare Parodi. Altre modifiche legislative (entrate in vigore a fine settembre), vista la perenne carenza di risorse della giustizia, hanno obbligato a una direttiva, “per coniugare il rigoroso rispetto della legge con le esigenze di effettiva, concreta e rapida tutela delle persone offese dei reati in oggetto”. Ovvero, maltrattamenti in famiglia e violenza di genere. Si tratta di una mole di fascicoli che, nell’ultimo anno, ha portato la Procura ha chiedere 900 misure cautelari, tra carcere, allontanamento, divieto di avvicinarsi. La direttiva - firmata dal Procuratore reggente Enrica Gabetta e dall’aggiunto Parodi - contiene “indicazioni operative” alle forze dell’ordine, poiché la legge numero 122 del 2023 “impone una rapida ed efficace revisione di quelli che sono i principi operativi in materia di codice rosso, elaborati da questo ufficio”.

Dunque: “In tutti i casi nei quali si intende inoltrare alla Procura una notizia di reato” per i delitti di cui si parla, “laddove fonte della notizia di reato sia la stessa persona offesa, si procederà a raccogliere la denuncia/querela”. E, dopo: con verbale immediatamente successivo, “si darà atto che a quel punto si procede, citando la presente direttiva, ad sentire la parte offesa nel termine di legge”, cioè entro tre giorni. Insomma, un lavorone. Dopodiché, c’è ovviamente molto da fare pure per le altre materie “criminali”, dalla Dda ai reati economici e di pubblica amministrazione: dove il numero dei fascicoli è minore, ma con “peso” inversamente proporzionale, tra numero di imputati, testimoni e attività d’indagine.