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di Carlotta Rocci

La Repubblica, 12 agosto 2023

Susan e Azzurra potevano essere salvate? È la domanda che si fanno in queste ore i magistrati che indagano sulla morte delle due detenute, ma anche la garante, le associazioni che lavorano con il carcere e i sindacati di polizia penitenziaria che da tempo denunciano una situazione complicata con una sezione femminile sovraffollata con percentuali anche peggiori della sezione maschile. Oggi si contano circa 110 detenute, la capienza è di ottanta. Susan John si è lasciata morire di fame digiunando per 20 giorni nella sua cella del repartino psichiatrico della sezione femminile del Lorusso e Cutugno. Si poteva costringerla a mangiare o almeno ad assumere liquidi e integratori per salvarle la vita?

È lo stesso quesito che aveva creato dibattito all’interno del Comitato nazionale di Bioetica, interpellato il 6 febbraio scorso dal ministero della Giustizia, chiamato a decidere sul caso dell’anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame per oltre 100 giorni. Due delle delle tre posizioni emerse tra gli esperti difendeva “il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà e questo vale anche se la persona ha intrapreso lo sciopero della fame”, si leggeva nel documento.

È uno di punti su cui ora dovranno fare chiarezza i magistrati che indagano sulla morte della donna nigeriana: la battaglia politica di Cospito contro il 41bis era chiaro a tutti, ma se Susan stava protestando per qualcosa non lo aveva confidato a nessuno, né al marito, né ai legali. Susan appariva lucida ma ha rifiutato ogni colloquio psichiatrico e psicologico. Le indagini partiranno dalle relazioni del carcere per stabilire se la sua sia stata davvero una scelta consapevole anche se contraria a ogni parere medico.

Sulla morte di Susan è intervenuta la senatrice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano: “Una morte di cui comunque è responsabile lo stato che aveva in custodia la vita della vittima”, dice. Susan e Azzurra morte lo stesso giorno, Graziana Orlarey suicida nello stesso carcere il 28 giugno. Tre donne in meno di due mesi. “È chiaro che siamo di fronte a un’emergenza - commenta Monica Gallo, garante cittadina dei detenuti - È chiaro che ci sono aspetti sanitari che vanno rivisti. Le detenute in osservazione psichiatrica sono guardate solo dagli agenti perché manca un presidio sanitario 24 ore su 24 dedicato alle donne”.

Un tema questo che l’Osapp aveva sollevato giorni fa quando aveva denunciato il fatto che agli agenti veniva affidata la sorveglianza dei detenuti psichiatrici. “Il carcere di Torno ha assunto le sembianze di un girone dantesco”, dice il segretario generale Leo Beneduci. “Negli ultimi 20 anni la polizia penitenziaria ha sventato oltre 24mila tentati suicidi, gli istituti devono preservare la salute e la sicurezza dei detenuti”, spiega Donato Capece del Sappe.

“Occorrono interventi mirati e urgenti perché la situazione è disperata”, commenta l’assessora comunale Gianna Pentenero. La garante solleva anche un altro tema: “Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha sollecitato che nel caso dei fragili venga attivata tutta la rete, garanti compresi eppure nessuno ci aveva informato del caso di Susan John. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Però, almeno, avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa”.