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di Riccardo Bruno

Corriere della Sera, 29 ottobre 2023

L’esordio a Torino. “Prima reagivo anche per una sciocchezza, adesso mi piace stare in mezzo alla gente”. Il presidente della Federugby: “Il nostro sport ha una capacità innata di formare al rispetto delle regole”. Al quinto minuto di gioco non ha fretta di fischiare il fallo, concede il vantaggio e i ragazzi del Cus Torino lo sfruttano arrivando a meta. Alla sua prima partita, alla sua prima decisione importante, l’arbitro Klodian Bajraktari, albanese, 27 anni tra pochi giorni, fa la scelta corretta.

Il suo non è debutto come tutti gli altri, è la prima volta che un detenuto fa il direttore di gara di un incontro di rugby, campionato regionale under 14, la squadra di casa contro il Biella. Klodian questa mattina ha lasciato il carcere Lorusso e Cutugno e ci farà ritorno dopo la partita, permesso speciale per poter esordire in casacca rossa e scudetto tricolore. Il rugby l’ha scoperto dietro le sbarre. “Da ragazzo ho fatto boxe e calcio, ma questo sport mi ha appassionato subito. Per l’adrenalina e il contatto fisico, e perché è davvero uno sport collettivo”. Klodian non è di molte parole, ha uno sguardo profondo e attento. Racconta che i primi tempi preferiva stare da solo, che il rugby ha cambiato il suo carattere. “Prima reagivo anche per una sciocchezza, adesso mi piace stare in mezzo alla gente”. Una condanna a 12 anni per rapine, 3 anni e mezzo ancora da scontare. Con la palla ovale si è subito distinto, da Verona è stato trasferito a Torino per entrare ne La Drola, la prima squadra in Italia di detenuti che ha giocato pure in serie C. A giugno ha scelto di seguire il corso per direttore di gara, nell’ambito del progetto “Arbitri oltre le sbarre” promosso dalla Federugby: 8 iscritti, 7 detenuti e un agente della Polizia penitenziaria, Salvatore Santoro che oggi è qui ad accompagnarlo: “Si sta comportando bene - commenta durante la gara -. Il rugby è uno sport bellissimo ma non è semplice. Ci sono tante regole da conoscere e da far rispettare”.

Presto anche lui scenderà in campo per la prima volta, oggi invece tocca a Klodian controllare l’energia di ventisei ragazzini, sanzionare scorrettezze e tenere conto dei punti. Carlo Damasco, ex arbitro internazionale che scelse di chiudere la sua carriera dirigendo proprio un incontro con una squadra di detenuti e che adesso cura questo progetto per portare lo sport nei penitenziari, lo segue a bordo campo come un padre premuroso. “Oggi è un momento storico - dice -. Per ottenere tutte le autorizzazioni e far uscire un detenuto ci sono difficoltà enormi. Per fortuna la direzione del carcere ci ha aiutato, speriamo di avere aperto una strada”.

Per accedere al corso rivolto a detenuti “a bassa pericolosità”, Klodian ha dovuto superare una serie di selezioni e valutazioni. Non è l’unica iniziativa di riabilitazione e reinserimento, ma questa ha uno straordinario valore simbolico. “Chi ha infranto le regole nella vita è chiamato a farle rispettare nel gioco” sintetizza Damasco. Aggiunge Gabriele Pezzano, consigliere della Commissione nazionale arbitri della Federazione: “Klodian ha iniziato un percorso che se vorrà potrà continuare. Sta creando legami e relazioni che gli potranno essere utili quando avrà scontato la pena”. La Federazione italiana rugby crede molto in questo progetto. “Da un punto di vista sociale è un risultato straordinario vedere un giovane che sta svolgendo un percorso di risocializzazione scendere in campo come direttore di gara - osserva il presidente Marzio Innocenti -. Il rugby ha questa capacità innata di formare al rispetto delle regole”.

Walter Rista è l’anima di queste iniziative. Nazionale a fine anni Sessanta, era in Argentina con altri ex azzurri quando il loro pullman ne urtò un altro. “Noi scendemmo tutti, dall’altro invece non usciva nessuno. Poi scoprimmo che non potevano farlo perché erano detenuti. Da quel momento mi sono ripromesso di portare il rugby dentro il carcere”. Rista è tra i promotori di “Ovale oltre le sbarre Onlus” e presidente de La Drola, la squadra dove gioca Klodian: “Il rugby aiuta i detenuti a capire che esiste un altro modo di vivere - spiega. La stragrande maggioranza di loro vuole cambiare fortemente la propria esistenza”. Si sente il triplice fischio, l’incontro è terminato. Klodian è stato attentissimo, ha corso dietro ogni pallone senza mai perdere di vista un’azione. Si scioglie in un sorriso solo adesso quando vede i ragazzi delle due squadre che, dopo essersi affrontati duramente, si riuniscono in cerchio. E tutti insieme urlano: “Viva il rugby! Hip, hip, hip urrà”.