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di Irene Famà

La Stampa, 21 gennaio 2024

L’istruzione come riscatto nelle parole di un carcerato all’incontro di Opera Barolo: “A 50 anni punto alla terza media”. “Cara scuola, magari ci fossimo conosciuti bene. Forse non sarei qui, in cella, dove a 50 anni cerco di prendere la terza media”. La forza dell’istruzione è racchiusa tutta lì: in quella lettera che un detenuto ha donato al francescano Giuseppe Giunti. “Se non aggiustate la scuola, la camorra vincerà sempre. La camorra vive di silenzio, a scuola impari le parole”. E la riflessione vale per la criminalità organizzata. Così come per quella comune e quella da strada. Ecco la sfida che padre Giunti e la giornalista Marina Lomunno hanno raccolto nel libro “E-mail a una professoressa. Come la scuola può battere le mafie”. Un titolo che parafrasa don Milani: le battaglie, in fondo, ricalcano quelle del parroco di Barbiana.

“Il mondo carcerario richiede anche una riflessione di tipo culturale”. Lo sottolinea monsignor Roberto Repole dando il via al ciclo di appuntamenti sul carcere, organizzato dall’Opera Barolo insieme al settimanale diocesano La Voce e il Tempo nel 160esimo anniversario della morte della marchesa Giulia Falletti di Barolo. “Alle persone recluse bisogna dare delle parole, che offrono strumenti interpretativi della realtà”.

Al Lorusso e Cutugno, operatori e insegnanti ne hanno fatto una missione. “L’offerta è ricca: abbiamo scuole di tutti i livelli”, spiega orgogliosa la direttrice del penitenziario Elena Lombardi Vallauri. Tanti sforzi, però, rischiano di essere vanificati. Le carceri sono sovraffollate. A Torino, l’11 gennaio, i reclusi erano 1488 per 1084 posti. Lo ricorda Arturo Soprano, presidente emerito della Corte d’appello. Lo ribadisce la garante comunale dei detenuti Monica Gallo: “La scuola e gli spazi adeguati per portala avanti sono la priorità”.

Tra gli adulti e trai minori. Adolescenti fragili, con alle spalle famiglie altrettanto fragili. “Bisogna trovare un linguaggio che coinvolga questi ragazzi, perlopiù stranieri”. La procuratrice capo del Tribunale dei minorenni, Emma Avezzù, tratteggia un’immagine: educatori e giovani detenuti che leggono articoli di sport. “Bisogna iniziare da qui”. La scuola, quei giovani difficili, non li deve cacciare, lasciare indietro. Ma prenderli per mano e riuscire a portarli avanti.

Insegnamento. Ed esempio. “Le parole sono importanti”, afferma la scrittrice Margherita Oggero. E sul linguaggio bisogna interrogarsi. A tutti i livelli. “Chi dice che pagare le tasse è pagare il pizzo allo Stato non dovrebbe sedere in Parlamento”, tuona la scrittrice. Un riferimento, tra tanti che non risparmiano quasi nessuno. “La scuola da sola non può battere la mafia. Ma può insegnare il peso delle parole, a giudicare chi parla, cosa dice, come lo dice”. In ogni contesto.