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di Luca Monaco

La Repubblica, 15 agosto 2023

“Dispiace che la gente veda solo l’evento finale, non il lavoro che c’è dietro: facciamo di tutto per risolvere i problemi delle detenute. Siamo esseri umani e queste vite pesano anche sulle nostre vite”. Marta (nome di fantasia) ha 35 anni, da un decennio presta servizio come operatrice della polizia penitenziaria nella sezione femminile del carcere Lorusso e Cutugno di Torino. L’agente è ancora sconvolta per le due morti che si sono consumate quattro giorni fa nella II sezione. Marta conosceva bene sia Azzurra Campari, la 28enne di Riva Ligure trovata impiccata in cella venerdì scorso verso le 19, che Susan John, la 42enne nigeriana morta poche ore prima, dopo 20 giorni di sciopero della fame e della sete.

“Dal 22 luglio, giorno del suo ingresso in carcere - afferma Marta - io e le mie colleghe siamo entrate in stanza di Susan tutti i giorni, abbiamo cercato di parlarci: lei ripeteva che non avrebbe ricominciato a bere e mangiare finché non sarebbe tornata a casa da suo figlio di tre anni appena”. L’agente prova a individuare una soluzione: “Le abbiamo ripetuto che avrebbe potuto stare con suo figlio nella Icam (l’istituto a custodia attenuata per detenute madri), ma lei ha rifiutato, voleva tornare a casa”. Marta non si dà per vinta. “Le abbiamo parlato tutti i giorni - ripete - ma non c’era verso di farla tornare a bere o a mangiare. Rifiutava le cure mediche. Il 4 agosto ha avuto un mancamento, abbiamo chiamato il 118, ma Susan ha impedito al medico di visitarla, non ha voluto andare in ospedale”. Disidrata, poche ore dopo cede ancora: “La sera è caduta dal letto - prosegue Marta - è stata portata al Maria Vittoria e anche li non si è fatta visitare. Ha preteso di essere riportata in cella”.

Tutti questi episodi dovranno risultare nei verbali di intervento del 118 e del pronto soccorso. Domani verrà conferito l’incarico per l’autopsia. “Sono sconvolta per quello che è successo - sospira Marta - non riesco a farmene una ragione, vi assicuro che molte di noi vanno ben oltre le nostre competenze pur di alleggerire il più possibile il peso della detenzione” alle donne del Lorusso e Cutugno. Eppure la II sezione “è così piena di soggetti psichiatrici che non abbiamo le forze per gestirli: sono imprevedibili, hanno scatti improvvisi”.

Come è stato fulmineo il gesto di Azzurra. “Appena arrivata in carcere era stata quasi una settimana in una cella video sorvegliata - ricostruisce Marta - poi la psichiatra aveva allentato le misure di controllo, era stata spostata in una sezione comune anche perché aveva bisogno di socializzare”. Azzurra non era piantonata a vista “ma non era mai sola - insiste Marta - era monitorata ogni cinque minuti da noi agenti e dalle detenute che fanno l’affiancamento. Era in una sezione ordinaria, c’erano decine di persone lì vicino, non si sono accorte di nulla”.

Marta e le sue colleghe avevano parlato ogni giorno con Azzurra: “Venerdì era tranquilla - spiega - le avevamo recuperato delle sigarette, nei giorni precedenti ci eravamo prodigate per farla parlare con la madre, per informare la famiglia. Lei era tranquilla”. Ma i tanti problemi irrisolti del carcere, “fanno sì che i nostri sforzi spesso siano vani”.